Crisi energetica russa: Sebastopoli senza carburante, Mosca blocca le esportazioni

L’impatto della guerra dei droni ucraini sulle infrastrutture e forniture interne russe: quali le ripercussioni sul mercato globale?
18 ore fa
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Pompa Benzina Canva

Le forniture di carburante in Russia hanno raggiunto un punto critico. Il Cremlino è stato costretto a prendere una misura drastica: vietare le esportazioni fino alla fine dell’anno. Questa mossa è una conseguenza della guerra: gli attacchi a infrastrutture energetiche da parte di droni ucraini hanno bloccato i rifornimenti russi lasciando le pompe di benzina della Crimea e di gran parte della Russia sempre più a secco.

Quali le conseguenze e le ripercussioni sul mercato globale?

La “guerra dei droni” e il collasso dell’offerta

Per comprendere la gravità della decisione di Mosca, è fondamentale guardare al contesto operativo del conflitto in Ucraina. L’Ucraina, infatti, ha intensificato durante l’estate gli attacchi con i droni contro raffinerie, pompe di benzina e treni di carburante russi. L’obiettivo di Kiev è chiaro: interrompere le cruciali catene di approvvigionamento del carburante, proprio in un periodo in cui la domanda è tradizionalmente alta a causa degli spostamenti vacanzieri.

Questi attacchi hanno avuto un impatto misurabile. L’aeronautica militare ucraina ha rivendicato di aver colpito diversi siti di produzione, inclusa una grande raffineria gestita da Gazprom nel Bashkortostan. Secondo fonti della Reuters, questa strategia ha ridotto la capacità di raffinazione del petrolio di quasi un quinto in alcuni giorni e ha causato una diminuzione delle esportazioni dai porti principali. Il calo della capacità di raffinazione ha persino spinto Mosca vicino a una potenziale riduzione della produzione di greggio.

Il blocco delle esportazioni e le sue implicazioni globali

Nonostante i funzionari russi avessero inizialmente liquidato la carenza come un problema di “ragioni logistiche”, la situazione è peggiorata al punto da richiedere l’intervento del governo. Il vice primo ministro russo Aleksandr Novak ha annunciato che il divieto di esportazione della benzina (inizialmente introdotto a marzo e poi esteso a tutti i principali produttori a luglio) sarà prorogato fino alla fine dell’anno. Questo divieto si applica sia ai produttori che ai rivenditori di benzina.

Per quanto riguarda il gasolio, di cui la Russia è uno dei maggiori produttori mondiali, Novak ha introdotto un divieto di esportazione parziale, applicabile ai soli rivenditori (non ai produttori). Le esportazioni di carburante rappresentano, per la Russia, una fonte fondamentale di entrate per il governo.

La mossa, sebbene motivata dalla necessità di “rifornire ulteriormente il mercato”, ha innescato una reazione sui mercati globali, dove la Russia e gli Stati Uniti sono i principali esportatori di diesel via mare. La domanda per il gasolio raffinato è aumentata rispetto a quella per il petrolio greggio di oltre il 5% dopo l’annuncio, un segnale di tensione sulla disponibilità globale del prodotto che indirettamente preoccupa anche i mercati europei.

Il razionamento e il caso di Sebastopoli

L’effetto più drammatico del divieto è l’evidenza che le scorte interne sono al limite. Sebbene il vice primo ministro Novak abbia ammesso solo una “leggera carenza” assicurando che essa è “coperta dalle riserve accumulate”, la scarsità si sta diffondendo in tutta la Russia. Il quotidiano filogovernativo Izvestia ha riferito che le stazioni di servizio in diverse regioni hanno iniziato a razionare benzina e gasolio, limitando la quantità acquistabile da ogni cliente.

Anche a Mosca, Lukoil, il secondo produttore di petrolio russo, ha vietato la vendita di benzina in taniche in alcune stazioni di servizio.

La situazione è particolarmente critica in Crimea, la penisola ucraina annessa illegalmente dalla Russia nel 2014. L’organo di informazione economico Kommersant ha riportato che circa la metà delle pompe in Crimea sono fuori uso a causa della carenza.

A Sebastopoli, la città più grande della regione, il canale Telegram Crimean Wind ha riferito che la città era completamente senza benzina. Quando sono arrivate due autocisterne a una pompa, si è formata immediatamente una lunga coda, e le cisterne sono state svuotate nel giro di un paio d’ore. Per i pochi rifornimenti disponibili, la benzina viene venduta a un prezzo circa un terzo più alto rispetto al mese precedente.

La crisi del carburante, forzando Mosca a bloccare le proprie esportazioni vitali, dimostra come la strategia ucraina di colpire le infrastrutture stia esercitando una pressione significativa e visibile non solo sul fronte, ma anche sulla vita quotidiana e sull’economia della Federazione Russa.

Ungheria e Slovacchia al bivio?

Ad acquistare ancora fonti energetiche dalla Russia erano rimasti principalmente l’Ungheria e la Slovacchia. Entrambe le nazioni, prive di sbocchi sul mare e fortemente dipendenti dagli oleodotti terrestri, continuano a ricevere petrolio russo attraverso il Druzhba, il grande oleodotto che attraversa l’Europa centrale. Secondo stime della Commissione europea, nel primo trimestre del 2025 Budapest e Bratislava avrebbero finanziato Mosca con oltre 2 miliardi di euro in acquisti di greggio.

Questa dipendenza energetica, se da un lato garantisce prezzi più contenuti e una continuità di approvvigionamento, dall’altro espone i due Paesi a crescenti pressioni geopolitiche. A margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha criticato duramente l’Europa per la sua “ambiguità energetica”, invitando Bruxelles ad accelerare il distacco dalle forniture russe. Ursula von der Leyen ha risposto proponendo dazi doganali sulle importazioni di petrolio russo e anticipando il phase-out del gas liquido russo al 2026, un anno prima rispetto ai piani.

Ma il nodo resta politico. Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha ribadito che “non possiamo garantire l’approvvigionamento sicuro per il nostro Paese senza le fonti di petrolio o gas russe”. Una posizione condivisa anche dal premier slovacco Robert Fico, che ha cercato di mediare con Washington per mantenere aperti i canali energetici con Mosca.

L’Europa divisa e il rischio di una nuova frattura

La crisi del carburante russo rischia di accentuare le divisioni interne all’Unione europea. Mentre la maggior parte dei Paesi ha ridotto drasticamente la propria dipendenza da Mosca, altri continuano a beneficiare di deroghe e canali preferenziali. Il rischio è che, in caso di ulteriore collasso dell’offerta russa, proprio questi Paesi si trovino esposti a choc energetici improvvisi. Inoltre, la riclassificazione dell’energia russa attraverso Paesi terzi – come India e Turchia – complica ulteriormente il quadro.

La guerra dei droni, il blocco delle esportazioni e la crisi interna russa stanno ridisegnando la mappa energetica del continente. L’Europa si trova davanti a una scelta cruciale: accelerare la transizione energetica e rafforzare la propria autonomia, oppure continuare a convivere con una dipendenza che, come dimostra il caso Sebastopoli, può trasformarsi rapidamente in vulnerabilità.