Annullata multa da circa 1,5 miliardi di euro a Google: le ragioni della sentenza

La multa imposta dalla Commissione europea a Google non si basava su prove sufficientemente concrete per dimostrare il reato commesso dal colosso californiano
1 giorno fa
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Il Tribunale dell’Unione europea ha annullato la multa inflitta dalla Commissione a Google per il caso AdSense. Si tratta del servizio di banner pubblicitari del colosso affiliato Mountain View che, secondo la Commissione, avrebbe approfittato della sua posizione senza rispettare le regole concorrenziali predominando sui competitor pubblicitari.

I giudici hanno confermato la maggior parte delle valutazioni della Commissione, ma hanno annullato la decisione che infliggeva alla multinazionale californiana un‘ammenda di quasi 1,5 miliardi di euro: ecco perché.

La sentenza Ue contro Google

La Commissione Europea aveva emesso una delle sue decisioni più significative nei confronti di Google, infliggendo una sanzione di 1,49 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità online. L’indagine, che ha coperto il periodo dal gennaio 2006 al settembre 2016, ha evidenziato tre clausole contrattuali che, secondo la Commissione, avevano l’effetto di limitare la concorrenza tra Google e altri intermediari pubblicitari.

Le clausole in questione riguardavano i contratti di Google con gli editori di siti web, volti a impedire loro di rivolgersi a intermediari pubblicitari concorrenti. Il colosso gestisce dal 2003 una piattaforma chiamata AdSense, che permette ai proprietari di siti web di guadagnare mostrando annunci pubblicitari. “AdSense for Search” consentiva ai siti con un motore di ricerca interno di mostrare annunci collegati alle ricerche effettuate dagli utenti. In questo modo, i proprietari ricevono una parte dei guadagni derivanti da questi annunci.

Tuttavia, negli accordi tra Google e i proprietari dei siti erano incluse clausole che limitavano o impedivano la visualizzazione di annunci di concorrenti di Google. Questo ha spinto aziende come Microsoft, Expedia e Deutsche Telekom a segnalare il problema alle autorità antitrust.

La Commissione Europea ha avviato un’indagine, ritenendo che tali clausole potessero ostacolare la concorrenza nei confronti di AdSense for Search. Ma “non ha tenuto conto dell’insieme delle circostanze pertinenti nella valutazione della durata delle clausole contrattuali che aveva qualificato come abusive”, scrive il Tribunale. Per questo motivo ne ha annullato la multa.

Secondo i giudici del Tribunale, che si occupano per la Corte dei Giustizia dell’Unione europea della sezione relativa al diritto della concorrenza, aiuti di Stato, commercio, agricoltura e marchi, l’Antitrust Ue avrebbe commesso degli errori nella valutazione della durata e dell’impatto delle clausole di Google. Non è stata, cioè, in grado di dimostrare in modo convincente che ciascuna di esse rappresentasse un abuso di posizione dominante, né che insieme formassero una violazione unica e continuata.

Inoltre, il Tribunale ha rilevato che non è stato dimostrato che le clausole dissuadessero effettivamente gli editori dal rivolgersi a concorrenti, né che ostacolassero l’accesso dei concorrenti a una porzione significativa del mercato.

La vicenda Qualcomm

Parallelamente, la Corte di Giustizia europea ha confermato in larga misura una multa inflitta alla società americana Qualcomm per abuso di posizione dominante nel mercato dei chip. La sanzione, originariamente fissata dalla Commissione Europea a 242 milioni di euro, è stata ridotta a 238,7 milioni, ma il principio della colpevolezza è rimasto intatto.

L’accusa nei confronti di Qualcomm era di aver impedito ai concorrenti di accedere al mercato dei chip per i dispositivi mobili, garantendosi contratti esclusivi con grandi aziende, come Apple, attraverso pagamenti ingenti. La condotta di Qualcomm è stata giudicata dannosa per la concorrenza e per l’innovazione nel settore delle telecomunicazioni.

Queste due vicende antitrust riflettono l’approccio della Commissione Europea nel contrastare il monopolio tecnologico, seppur con risultati giudiziari diversi.