Trattato globale sulla plastica, l’Europa spinge per un testo vincolante

A Ginevra ultime ore di negoziato. Bruxelles e alleati puntano a limiti di produzione e norme su chimica e monouso, contro la linea dei grandi produttori di plastica
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Plastica Bottiglia Schiacciata Canva

A Ginevra si decide il futuro di un patto globale contro l’inquinamento da plastica e, per Bruxelles, il rischio di un compromesso debole è inaccettabile. La bozza circolata mercoledì ha lasciato l’Unione europea e diversi alleati insoddisfatti: nessun limite alla produzione, nessuna misura concreta sulle sostanze chimiche, focus spostato su design, riciclo e gestione dei rifiuti. La commissaria europea all’Ambiente, Jessika Roswall, ha avvertito: “Un accordo debole e statico non serve a nessuno. Il trattato deve coprire l’intero ciclo di vita della plastica e poter evolvere nel tempo con la scienza.”

Il negoziato è entrato nelle ultime ore utili, con 184 Paesi e oltre 600 organizzazioni presenti. La partita si gioca tra chi vuole fissare paletti alla produzione e chi mira a un accordo concentrato solo sulla gestione dei rifiuti.

Ridurre la produzione è parte della soluzione

L’Europa è tra i promotori della High Ambition Coalition, gruppo di Stati che chiede un approccio globale, vincolante e capace di agire su tutte le fasi del ciclo della plastica. Bruxelles sostiene l’inclusione di obiettivi di riduzione della produzione, convinta che un’azione limitata alla gestione dei rifiuti sia insufficiente. L’argomento è sostenuto da un dato semplice: se la produzione cresce, anche il riciclo più efficiente non può compensare l’immissione di nuovi materiali sul mercato.

Secondo le proiezioni, la produzione mondiale supera già le 400 milioni di tonnellate annue e potrebbe crescere del 70% entro il 2040 senza interventi incisivi. Per l’Ue, non intervenire a monte significherebbe trasferire un peso ingestibile sui sistemi di raccolta e riciclo, con costi ambientali, sanitari e industriali elevati.
Accanto all’Unione Europea, Canada, Regno Unito, Norvegia, Messico e un gruppo di piccoli Stati insulari chiedono anche norme specifiche sui prodotti ad alto impatto — come quelli monouso e con additivi tossici — per evitare che il trattato si riduca a una raccolta di principi generici. Questa posizione trova radici anche nel percorso interno dell’Unione: la direttiva Sup (Single-Use Plastics) e le misure del Green Deal europeo hanno già fissato obiettivi stringenti per la riduzione del monouso e il riciclo, che Bruxelles vorrebbe estendere a scala globale per evitare distorsioni di mercato e dumping ambientale.

Una bozza che non convince

Il testo preparato dal presidente del comitato negoziale, Luis Vayas Valdivieso, ha ridotto la questione della produzione a una sola frase nel preambolo, eliminando l’articolo dedicato presente nelle versioni precedenti. Nessun riferimento esplicito alle sostanze chimiche, nonostante l’Ue e diversi Paesi abbiano segnalato l’urgenza di affrontare il problema degli additivi tossici, che rendono il riciclo più difficile e hanno impatti diretti sulla salute umana.

Le misure proposte si concentrano sulla riduzione dei prodotti difficili da riciclare, sul redesign per il riuso e sul miglioramento della gestione dei rifiuti. Per Bruxelles e i suoi alleati, questa impostazione è troppo sbilanciata verso interventi a valle e non incide sulle cause strutturali dell’inquinamento.
Colombia e Panama hanno definito la bozza “inaccettabile”, ricevendo l’appoggio dell’Ue. “Non è accettabile per le generazioni future”, ha dichiarato la delegata canadese Erin Silsbe. Dall’altro lato, Arabia Saudita, Kuwait e Qatar hanno contestato la mancanza di definizioni precise e parametri chiari, mentre gli Stati Uniti hanno indicato sei “linee rosse” senza dettagli. L’India ha invece considerato il testo una base di partenza accettabile, segnale che le spaccature restano profonde.

Cosa c’è dietro il braccio di ferro

Il fronte europeo deve fare i conti non solo con le opposizioni esplicite, ma anche con le pressioni indirette. Le lobby dell’industria petrolchimica e della plastica esercitano influenza in molti Paesi, promuovendo l’idea che il problema sia esclusivamente di gestione e non di produzione. Un approccio che l’Ue considera pericoloso: secondo gli studi della Commissione, un trattato privo di limiti alla produzione rischierebbe di incentivare la costruzione di nuovi impianti, soprattutto nei Paesi dove i costi ambientali non sono internalizzati.

Dal punto di vista economico, un accordo forte porterebbe anche vantaggi per l’industria europea, che ha già investito in tecnologie di riciclo avanzato e in materiali alternativi. Un testo debole, al contrario, premierebbe chi continua a produrre plastica vergine a basso costo, erodendo la competitività delle imprese che hanno scelto modelli più sostenibili.

La Commissione europea considera questo negoziato una prova di credibilità per la governance ambientale globale. Un accordo che non includa obblighi chiari e obiettivi misurabili rischia di frammentare la risposta internazionale e rallentare l’adozione di politiche efficaci. Bruxelles insiste perché il testo sia capace di evolvere con le evidenze scientifiche e di applicarsi a tutte le fasi del ciclo della plastica.

Molti Paesi europei premono per evitare un nuovo round di negoziati, convinti che il rinvio favorisca lo status quo e i grandi produttori di plastica. Altri, come l’Etiopia, sono disposti a prolungare i lavori pur di inserire norme più robuste su finanziamenti e ciclo di vita completo del materiale.
Per l’Ue, rinunciare a limiti di produzione e a norme sulla chimica significherebbe consolidare un modello lineare — produrre, usare, smaltire — che non è più sostenibile. Le prossime ore diranno se riuscirà a far prevalere la propria linea o se dovrà accettare un compromesso distante dalle proprie ambizioni.