L’Unione Europea è a un passo dal centrare uno degli obiettivi più ambiziosi della sua storia climatica: ridurre del 55% le emissioni nette di gas serra entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Un traguardo storico, ma non ancora garantito. La differenza la faranno le decisioni – e le azioni – che ogni Stato membro metterà in campo nei prossimi mesi. L’Italia, in particolare, ha compiuto alcuni passi avanti, ma resta ancora indietro su troppi fronti cruciali.
L’aggiornamento dei Piani Nazionali Energia e Clima (Necp), richiesto dalla Commissione Europea a fine 2023, ha rappresentato un passaggio chiave. Quasi tutti gli Stati membri hanno rivisto al rialzo ambizioni e strumenti, e oggi la traiettoria dell’Unione indica una possibile riduzione delle emissioni del 54% entro il 2030, appena un punto percentuale sotto il traguardo fissato dal Fit for 55. Ma quel punto percentuale mancante richiede che tutte le politiche – nazionali ed europee – siano attuate pienamente. Ed è qui che si gioca la partita.
Al centro della strategia europea ci sono due assi: il Clean Industrial Deal, per guidare la decarbonizzazione industriale, e l’Affordable Energy Action Plan, che punta a stabilizzare i costi energetici e rafforzare le rinnovabili. Sono strumenti pensati per accompagnare la transizione con visione e concretezza, ma la loro efficacia dipenderà dall’attuazione reale nei territori.
Chi guida la corsa europea e chi è indietro
Il quadro aggiornato dei Necp mostra un’Unione in movimento, ma a velocità diverse. Alcuni Paesi emergono chiaramente come leader della transizione:
- Danimarca, Paesi Bassi, Francia, Svezia e Germania hanno piani ambiziosi e dettagliati, in linea o persino superiori ai target fissati. La Danimarca, ad esempio, punta a superare il 70% di rinnovabili nel mix elettrico entro il 2030 e ha già quasi completato la transizione dal carbone. I Paesi Bassi si distinguono per l’integrazione tra politiche energetiche e mobilità sostenibile, mentre la Francia rilancia sul nucleare di nuova generazione come pilastro della propria decarbonizzazione.
- Spagna e Portogallo puntano molto su solare ed eolico, con tassi di penetrazione delle fonti di energia rinnovabile tra i più alti d’Europa. La Spagna, in particolare, ha presentato un Necp tra i più completi, con proiezioni di emissioni in calo fino al -55,8% e una roadmap avanzata sull’idrogeno verde.
- Finlandia e Lettonia si distinguono per l’efficienza energetica e la gestione sostenibile delle risorse forestali. La Finlandia ha già raggiunto diversi obiettivi intermedi, inclusa la riduzione della dipendenza dal gas russo.
Sul versante opposto, Belgio, Estonia e Polonia non hanno ancora trasmesso la versione finale del Necp, oltre la scadenza del 30 giugno 2024. Belgio ed Estonia hanno comunque fornito dati aggiornati, mentre la Polonia rimane ambigua soprattutto sull’eliminazione graduale del carbone. Anche Ungheria, Romania, Bulgaria e Cechia sono state giudicate “sotto le aspettative” su rinnovabili, efficienza e transizione giusta. Autorizzazioni lente e dipendenza dai fondi Ue sono problemi comuni.
E l’Italia a che punto è?
L’Italia ha formalmente aggiornato il proprio Necp il 4 luglio 2024. Il piano presenta miglioramenti, ma secondo la Commissione resta carente in coerenza e concretezza. Su quasi tutte le dimensioni – decarbonizzazione, rinnovabili, efficienza, sicurezza – Roma ha solo “parzialmente affrontato” le raccomandazioni europee.
Il nodo principale riguarda le emissioni nei settori Esr (Effort Sharing Regulation): l’Italia mira a -40,6% entro il 2030 (rispetto al 2005), quando il target è -43,7%. Anche nello scenario delle proiezioni future delle emissioni e dei consumi energetici, il divario resta evidente. Il settore trasporti è il più critico: le strategie su elettrico e biocarburanti non sembrano realistiche rispetto all’attuale parco veicoli.
Su uso del suolo, cambiamento di uso del suolo e silvicoltura (Lulucf), le rimozioni nette di Co₂ sono diminuite rispetto al periodo 2016-2018, invece di aumentare. Nessuna nuova misura è stata introdotta per colmare un gap stimato in 9,2 Mt di Co₂. Anche l’adattamento climatico è poco strutturato: manca una visione quantitativa e una strategia chiara, specie per le risorse idriche.
Tuttavia, non mancano elementi positivi: il piano è solido su cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio (Ccs e Ccus), con una cornice normativa già in fase avanzata. Attenzione anche all’idroelettrico e alla circolarità nel ciclo dei rifiuti. Ma resta una difficoltà cronica nel trasformare i piani in azioni concrete.
Verso il 39,4% di rinnovabili
L’Italia si impegna a raggiungere il 39,4% di fonti di energia rinnovabile sui consumi finali entro il 2030 – poco sopra il minimo Ue (39%), ma sotto la bozza iniziale (40,5%). Le misure di semplificazione (Energy Act, sportello unico, aree di accelerazione) sono avviate ma poco dettagliate. La designazione delle zone “non idonee” rischia inoltre di rallentare nuovi progetti.
Sull’idrogeno verde, l’obiettivo è ambizioso: coprire il 54% dell’uso industriale nel 2030. Ma mancano strumenti strutturati e scadenze certe. Lo stesso vale per bioenergia e biometano, inclusi nel mix senza però informazioni su origine delle biomasse e bilancio forestale.
La sfida dell’efficienza
L’Italia ha fissato consumi energetici pari a 123,3 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe) primari e 101,7 Mtoe finali, valori superiori a quelli compatibili con il Fit for 55. Le stime sui risparmi energetici sono vaghe, e i collegamenti con i finanziamenti poco trasparenti. Anche i piani per la riqualificazione degli edifici mancano di dettagli su tassi e risultati attesi.
Strumenti potenzialmente efficaci, come il Fondo per l’Efficienza Energetica, la cogenerazione, lo smart metering e le comunità energetiche, sono presenti ma non ancora pienamente operativi. La sfida vera sarà l’attuazione.
Dalla povertà energetica al nucleare
Il Piano Nazionale Energia e Clima italiano affronta anche la sicurezza degli approvvigionamenti, l’integrazione del mercato e la transizione giusta. L’obiettivo di azzerare il gas russo entro il 2025 è chiaro, ma manca una visione post-2030, specie nel trasporto. Sull’elettricità, si prevedono investimenti in resilienza di rete e stoccaggio, ma senza target precisi. L’interconnessione elettrica è ancora ferma al 5%, lontano dal 15% indicato dalla Ue.
La povertà energetica viene affrontata, ma senza una definizione operativa e senza obiettivi espliciti. Sulla transizione giusta, si fa riferimento al Fondo per la Transizione Giusta e ai piani territoriali, ma senza una stima dell’impatto sociale o delle risorse. Anche gli interventi su formazione e sostegno ai nuclei vulnerabili restano generici.
La dimensione industriale della transizione compare solo in termini di ricerca, innovazione e produzione pulita, ma senza obiettivi o fondi dedicati. Il ritorno del nucleare – con 8 Gw di reattori modulari al 2050 – è citato, ma privo di roadmap o piani realistici.
L’Italia, insomma, non è tra i fanalini di coda, ma neanche tra i protagonisti della transizione. La sfida nei prossimi mesi sarà passare dai piani ai cantieri, dalle promesse agli impatti. Perché il conto alla rovescia verso il 2030 è già cominciato. E il clima non aspetta.