Campi Flegrei, 1,4 miliardi per blindare il rischio: l’Europa investe nella prevenzione

Un piano decennale, finanziato dalla Banca Europea per gli Investimenti, per ridurre la vulnerabilità sismica e rafforzare la resilienza del territorio
2 ore fa
5 minuti di lettura
Campi Flegrei

A Pozzuoli le crepe sui muri non si contano più. Dal maggio 2024, la terra brucia sotto i piedi e le scosse hanno imposto sgomberi, verifiche e piani di emergenza che sembrano non bastare mai. È in questo scenario che la Banca Europea per gli Investimenti ha approvato un finanziamento fino a 1,4 miliardi di euro destinato alla messa in sicurezza dell’area dei Campi Flegrei. Non un fondo emergenziale, ma un prestito-quadro pensato per dieci anni di lavori, fino al 2032, con l’obiettivo di ridurre la vulnerabilità sismica e vulcanica di edifici e infrastrutture.

Il contratto di progetto, firmato a Roma tra il ministro della Protezione Civile e delle Politiche del Mare, Nello Musumeci, e la vicepresidente della Bei, Gelsomina Vigliotti, segna l’avvio formale di un piano che va oltre la logica della riparazione post-disastro. La prima tranche, in arrivo entro la fine dell’anno, coprirà le annualità 2025-2027, aprendo la strada a un’operazione complessa che coinvolge più livelli di governo e un’area densamente abitata, fragile e strategica.

“Con questo accordo la Bei rinnova il suo impegno al fianco del Governo italiano, non solo per sostenere la ricostruzione post-catastrofe, ma per rafforzare la prevenzione e l’adattamento ai cambiamenti climatici”, ha dichiarato Vigliotti, sottolineando l’intenzione di trasformare il progetto in un modello europeo di resilienza. Musumeci, dal canto suo, ha parlato di “misure straordinarie di prevenzione mai adottate prima”, ricordando che “il sostegno della Bei è una conferma di fiducia nella capacità dell’Italia di affrontare il rischio sismico e vulcanico con serietà e visione di lungo periodo”.

Nel dettaglio, fino a 850 milioni di euro saranno destinati al comparto pubblico – scuole, ospedali, infrastrutture – mentre 550 milioni potranno essere assegnati a interventi privati. Il coordinamento sarà affidato a tre pilastri: Casa Italia per il patrimonio abitativo, la Protezione Civile per la gestione del rischio e il Commissario Straordinario per i Campi Flegrei per la direzione tecnica.

Dove finiranno i fondi e chi controllerà i cantieri

Il prestito della Bei è una leva finanziaria. Permetterà allo Stato di ridurre il costo complessivo degli interventi e, in parallelo, di mobilitare capitali pubblici e privati aggiuntivi. La logica è quella del co-finanziamento intelligente: ogni euro proveniente da Lussemburgo dovrebbe attrarne altri, moltiplicando l’effetto economico sul territorio.

Le linee di intervento si dividono in due canali. Il primo, gestito da Casa Italia, riguarda la ricostruzione e il miglioramento sismico degli edifici residenziali. Si tratta di migliaia di immobili privati, molti dei quali costruiti negli anni Sessanta e Settanta, prima delle attuali normative antisismiche. Gli incentivi dovranno sostenere non solo le riparazioni, ma la riduzione strutturale della vulnerabilità: tetti, fondazioni, materiali, tecniche di consolidamento.

Il secondo canale, affidato al Commissario Straordinario, coprirà le opere pubbliche. Qui l’attenzione è puntata su scuole, reti idriche, strade e ospedali. La priorità sarà data agli edifici strategici e ai luoghi che, in caso di emergenza, devono restare operativi. La Protezione Civile avrà il compito di pianificare gli interventi in base alla mappa del rischio e di coordinare le attività di prevenzione.

L’intero impianto amministrativo sarà soggetto a controlli multipli: Corte dei Conti, Ragioneria Generale dello Stato, Bei stessa. Ma la vera sfida sarà mantenere la continuità del processo decisionale. I tempi lunghi di approvazione dei progetti, la sovrapposizione di competenze e l’instabilità politica locale rischiano di dilatare i cronoprogrammi. Il cantiere della ricostruzione flegrea, in questo senso, diventa un test per la capacità italiana di tradurre la finanza europea in opere concrete.

“Oltre a migliorare la sicurezza e la resilienza dell’area metropolitana di Napoli, l’operazione contribuisce a potenziare la gestione del rischio e la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici”, precisa la Banca. È un messaggio chiaro: la prevenzione sismica è ormai parte della più ampia strategia europea per la sostenibilità. Ma sul campo, la dimensione tecnica dovrà misurarsi con una realtà urbanistica densa, in cui ogni intervento tocca quartieri abitati, reti di servizi e proprietà frammentate.

Perché Bruxelles guarda ai Campi Flegrei

Il prestito della Bei si inserisce in un contesto politico che supera i confini campani. L’Unione Europea, negli ultimi anni, ha progressivamente spostato l’attenzione dalla gestione dell’emergenza alla costruzione di capacità di adattamento. Dopo le esperienze del Centro Italia e di Ischia, i Campi Flegrei rappresentano il banco di prova più complesso: un’area vulcanica attiva, con mezzo milione di abitanti, infrastrutture critiche e un rischio multiplo, sismico e bradisismico.

Per la Bei, investire qui significa applicare concretamente la linea strategica sull’azione per il clima. Non solo energia pulita o mobilità sostenibile, ma anche sicurezza fisica dei territori. In questa prospettiva, la ricostruzione flegrea non è un capitolo locale, bensì un tassello della politica europea di resilienza. È il tentativo di dimostrare che la finanza pubblica può ridurre la fragilità strutturale di aree ad alta densità abitativa.

Vigliotti ha più volte sottolineato il valore “replicabile” del progetto: “Dal Centro Italia a Ischia, ai Campi Flegrei, finanziamo interventi che vanno oltre la semplice riparazione dei danni, contribuendo a rendere i territori più sicuri e resilienti”. Dietro la dichiarazione c’è un concetto preciso: se il modello funziona, potrà essere adottato anche in altre regioni europee vulnerabili, dal Portogallo alla Grecia.

Il caso italiano, peraltro, si presta a una riflessione più ampia. La combinazione di rischio geologico e pressione urbanistica è una costante nel Sud Europa, ma i meccanismi di prevenzione restano frammentati. L’intervento della Bei introduce una governance finanziaria unificata, legata a obiettivi di medio-lungo periodo. Tuttavia, perché la sinergia funzioni, servirà un salto culturale: passare dall’idea di “ricostruzione dopo” a quella di “costruzione sicura prima”.

Dieci anni per cambiare un territorio

La prospettiva temporale fissata al 2032 non è casuale. Dieci anni sono necessari per completare la catena che va dalla progettazione alla consegna dei cantieri, ma anche per stabilizzare un’area che vive da decenni in bilico. Ogni fase – dal rilievo geotecnico alla ricostruzione vera e propria – comporta un impatto sociale rilevante. In molti quartieri di Pozzuoli, Bacoli e Napoli Ovest gli abitanti convivono con l’incertezza, tra allarmi e ordinanze di sgombero. Il finanziamento europeo, in questo senso, diventa anche un segnale politico: lo Stato e l’Unione non lasciano indietro un territorio considerato “difficile”.

Il cronoprogramma prevede una prima accelerazione entro il 2027, con l’apertura dei cantieri prioritari. Le risorse saranno distribuite gradualmente, in base ai progressi verificati dalla Bei e dai ministeri competenti. È una modalità che incentiva la trasparenza e penalizza i ritardi, ma che richiede una capacità amministrativa costante.

Per il Mezzogiorno, l’operazione rappresenta un banco di prova decisivo anche sul fronte dell’efficienza. L’obiettivo non è solo ricostruire, ma creare un modello tecnico e gestionale replicabile. Se il progetto riuscirà a rispettare i tempi e a generare occupazione stabile, potrà segnare un punto di svolta nella percezione del rapporto tra Europa e Sud Italia.

Resta aperta la questione della convivenza con il rischio. Nessun piano può cancellare la natura vulcanica dei Campi Flegrei. Tuttavia, la riduzione della vulnerabilità fisica e la pianificazione coordinata dei soccorsi possono cambiare radicalmente la capacità di risposta della popolazione. In questo senso, il prestito Bei è molto più di un intervento infrastrutturale: è una scommessa sulla modernizzazione del modo in cui l’Italia affronta la propria fragilità.