L’obiettivo è ridurre del 90% le emissioni nette di gas serra (GHG) entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990, ma con un aiutino e una buona dose di flessibilità. La Commissione ha presentato oggi una modifica alla legge Ue sul clima, proponendo un traguardo che molti Paesi, Francia e Polonia in testa, reputano troppo ambizioso, e aprendo al contempo ad alcune forme di elasticità. Su tutte, i crediti di carbonio, un sistema controverso che di fatto esternalizzerebbe parte degli sforzi di decarbonizzazione del blocco. E che (anche) per questo è molto criticato.
Insomma, c’è parecchio di cui discutere sul tavolo dei negoziati che accompagneranno l’iter futuro dell’emendamento presentato oggi, che ora passerà per il Consiglio e per l’Europarlamento come da normale prassi.
Perché la Commissione ha presentato l’obiettivo al 90%
La proposta odierna deriva dall’obbligo, previsto dalla legge europea sul clima (2021), di stabilire un obiettivo intermedio per il 2040 sulla strada verso la neutralità climatica fissata al 2050. Il -90% è un passo importante, se pensiamo che la legge prevede una tappa di riduzione delle emissioni nette di gas serra del 55% entro il 2030 (sempre rispetto ai livelli del 1990). Un traguardo, quest’ultimo, che “l’Ue è sulla buona strada per raggiungere”, afferma la Commissione in un comunicato.
Per centrare il nuovo obiettivo, semplicità ed efficienza saranno i principi guida, insieme alla garanzia della neutralità tecnologica e di una transizione equa e giusta per tutti. Stella polare, la competitività industriale dell’Unione, con lo scopo primario di offrire certezza agli investitori, favorire l’innovazione, rafforzare la leadership industriale delle imprese e aumentare la sicurezza energetica del blocco.
Non a caso, la Commissione ha specificato che l’obiettivo climatico del 90% presentato oggi va di pari passo con la Bussola della Competitività, il Clean Industrial Deal e il Piano d’azione per un’energia accessibile.
“Concordare sull’obiettivo climatico del 90% ci fornisce un chiaro punto di riferimento per orientare le nostre azioni future. Stiamo rispondendo agli europei che rimangono fermamente favorevoli all’azione per il clima”, ha commentato Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva per una Transizione Pulita, Giusta e Competitiva, facendo riferimento a una ricerca dell’Eurobarometro pubblicata il 30 giugno, secondo cui l’85% dei cittadini europei considera il cambiamento climatico un problema serio e l’81% sostiene il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.
Parola d’ordine: flessibilità
La Commissione ha proposto “un nuovo modo più pragmatico e flessibile” per raggiungere la programmata riduzione delle emissioni di gas serra. In primis la possibilità, per quanto limitata, di usare i crediti internazionali di alta qualità – a partire dal 2036. Poi l’utilizzo di assorbimenti permanenti nazionali di CO2 nel sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione (il sistema Ets, Emission Trading System) e infine una maggiore flessibilità tra settori. In pratica, uno Stato potrà compensare i settori interni meno virtuosi con quelli più virtuosi per contribuire al raggiungimento dei propri obiettivi climatici.
La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen , ha dichiarato: “Oggi dimostriamo di essere fermamente convinti del nostro impegno a decarbonizzare l’economia europea entro il 2050. L’obiettivo è chiaro, il percorso è pragmatico e realistico“.
Le ha fatto eco Wopke Hoekstra, commissario per il clima, le emissioni nette zero e la crescita pulita: “Con il nostro obiettivo per il 2040, manteniamo la rotta verso una transizione pulita. Sappiamo perché lo stiamo facendo: per ragioni economiche, di sicurezza e geopolitiche. E abbiamo un piano per realizzarla: un ambiente favorevole, il Clean Industrial Deal e tre flessibilità di impatto. È anche uno strumento importante nell’ambito dell’opera di diplomazia internazionale dell’Ue per ridurre le emissioni e sviluppare i mercati del carbonio nell’ambito dell’accordo di Parigi”.
La Commissione apre ai crediti di carbonio
Il nodo più controverso della proposta odierna riguarda proprio l’apertura a un utilizzo – per quanto limitato – di crediti di carbonio internazionali di alta qualità. Sebbene infatti la Commissione ribadisca che è essenziale concentrarsi sulla riduzione “effettiva e tempestiva” delle emissioni di gas serra all’interno del blocco e sull’integrazione di soluzioni per l’assorbimento del carbonio, al contempo prevede che a partire dal 2036 i Ventisette possano conteggiare i crediti di carbonio provenienti dai Paesi in via di sviluppo nei propri obiettivi climatici.
Il contributo è limitato al 3% delle emissioni nette dell’Ue del 1990, in linea con le norme di contabilizzazione dell’accordo di Parigi, ma nei prossimi negoziati alcuni Stati, soprattutto la Francia, potrebbero premere per aumentare questa percentuale.
La Commissione chiama questa apertura “una rete di sicurezza per garantire il raggiungimento di un obiettivo del 90%”, in pratica è l’ammissione che sarà difficile centrare l’obiettivo climatico con iniziative esclusivamente interne.
Quello dei crediti di carbonio è un settore minato, per questo la Commissione stabilisce anche alcuni paletti: una valutazione d’impatto dettagliata e approfondita di ogni potenziale utilizzo di crediti di carbonio internazionali, il fatto che i crediti provengano da attività credibili e trasformative – come la cattura e lo stoccaggio diretti del carbonio nell’aria (Daccs) e la bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BioCCS) – , e il requisito che si svolgano in Paesi partner i cui obiettivi climatici e le cui azioni siano in linea con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi.
Favorevoli e contrari ai carbon credits
La misura è osteggiata dagli ambientalisti ma non solo: i critici sostengono che possa affievolire l’impegno per la decarbonizzazione interna, andando anche a distogliere fondi dagli investimenti locali in tecnologie costose ma necessarie. Inoltre, dicono i detrattori, acquistare dei crediti per una riduzione che in realtà si è registrata altrove è un imbroglio: chi sta veramente riducendo le emissioni?
C’è un’ulteriore aggravante, quella di minare quel ruolo di leader della transizione climatica che Bruxelles ambisce a conquistare, tanto più dopo il disimpegno americano nel settore, che lascia un vuoto decisamente appetibile – oltre che molto preoccupante.
Per i sostenitori, invece, questo è l’unico modo realistico in cui l’Unione possa raggiungere i suoi ambiziosi obiettivi climatici. Inoltre, il sistema offrirebbe una via per ridurre le emissioni globali, promuovendo allo stesso tempo investimenti rispettosi del clima nei Paesi in via di sviluppo.
Hoekstra ha dichiarato che “al pianeta non importa dove eliminiamo le emissioni dall’aria“, e che “bisogna agire ovunque, ma certamente è utile farlo sia qui che altrove”, dunque la compensazione tramite crediti non deve essere una sostituzione dei progetti in patria.
“Non stiamo scegliendo tra l’economia e l’agenda verde, stiamo scegliendo entrambe”, ha sottolineato infine Ribera.