La Danimarca fissa l’obiettivo climatico più ambizioso del Mondo

Copenaghen punta al -85% delle emissioni entro il 2035 rispetto ai livelli del 1990 e alla neutralità climatica entro il 2045, mentre l'Ue arretra e perde punti
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Belem, Conferenza Onu Sul Clima Cop30 Foto Di Gruppo
(Ipa/Fotogramma)

Mentre l’Unione europea sembra in fase di arretramento sulle questioni ambientali, tanto da essere tacciata di ipocrisia da più parti, la Danimarca procede dritta verso l’obiettivo della decarbonizzazione e fissa il target climatico più ambizioso al mondo: -85% delle emissioni entro il 2035 rispetto ai livelli del 1990. Copenaghen punta anche alla neutralità climatica entro il 2045.

Lo ha annunciato alla COP30, che si chiude domani nella città brasiliana di Belém, il ministro danese del Clima, dell’Energia e dei Servizi pubblici, Lars Aagaard.

“Dobbiamo mostrare ancora una volta al resto del mondo che è possibile coniugare obiettivi climatici ambiziosi con un settore produttivo competitivo e coesione sociale”, ha affermato Aagaard spiegando che questo nuovo obiettivo consentirà al Paese di rimanere “ai vertici a livello internazionale” nel campo.

Il ministro ha anche sottolineato: “Dobbiamo dare priorità all’azione per il clima anche in un periodo segnato da guerra e conflitti. Obiettivi, finanziamenti e le misure necessarie a garantire ulteriori riduzioni devono procedere di pari passo”. A tal proposito, il governo stanzierà 4 miliardi di corone danesi (circa 535 milioni di euro).

Con questo nuovo obiettivo, Copenaghen ‘scalza’ anche il Regno Unito, che l’anno scorso alla COP29 aveva settato un target di riduzione delle emissioni dell’81% al 2035 rispetto al livello del 1950. Ma anche Londra, come l’Ue, sta facendo dei passi indietro, pur rimanendo al quinto posto nella CCPI 2025.

L’Ue intanto, responsabile del 6% delle emissioni globali, si è presentata alla COP 30 con un obiettivo climatico raggiunto in ritardo e al ribasso: l’impegno è infatti di ridurre le emissioni nette del 66,25-72,5% entro il 2035 rispetto ai livelli del 1990, e di arrivare alla neutralità climatica nel 2050 (cinque anni dopo la Danimarca).

D’altra parte il vento che soffia sul continente non alimenta pale eoliche ma una pesante marcia indietro dal Green Deal, fiore all’occhiello del primo mandato di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione. Oggi, tra sovranismi crescenti, il presidente Usa Donald Trump che ha definito il cambiamento climatico “una truffa” – e sostiene attivamente in patria e all’estero le fonti fossili – e i timori per una competitività arrancante, il blocco sta annacquando le proprie normative verdi al grido di ‘semplificazione’.

Con questi presupposti, l’Unione non ha la coerenza necessaria per chiedere un impegno urgente a livello internazionale, anche se può giocarsi il nuovo obiettivo climatico approvato dai parlamentari la scorsa settimana, una riduzione del 90% delle emissioni di gas serra entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990 – il minimo raccomandato dagli scienziati. Una riduzione che però si potrà ottenere in parte (5% dei tagli) con i crediti di carbonio esteri, controversi per la loro efficacia e la loro trasparenza.

Ora il nuovo obiettivo danese pone una domanda chiave al resto dell’Ue: la transizione verde è un costo da minimizzare o un investimento da guidare? Copenaghen ha già risposto.