La carne coltivata si diffonde in Europa (ma non in Italia). Rischi e opportunità delle nuove proteine

Per Arvea Marieni (Brainscapital), le nuove proteine sono una risposta intelligente ai cambiamenti climatici. Il divieto rischia di farci restare indietro
2 mesi fa
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Carne Coltivata

Una start-up francese innovativa, Gourmey, ha presentato la prima domanda per l’autorizzazione alla vendita di carne coltivata ai sensi del Regolamento sui nuovi alimenti dell’UE. La start-up, che ha raccolto 65 milioni di euro in investimenti, produce foie gras francese, una prelibatezza che da tempo solleva preoccupazioni etiche a causa dei metodi di produzione e della sofferenza degli animali, e altri “prodotti gastronomici sostenibili” realizzati a partire da cellule animali non OGM. Nel 2023, i prodotti di pollo coltivato sono stati approvati negli Stati Uniti, e Singapore ha autorizzato la carne coltivata nel 2020.

Eurofocus ha chiesto ad Arvea Marieni – partner e board member di Brainscapital, una degli esperti della rete Team Europe Direct della Rappresentanza della Commissione UE a Roma – quale ruolo vede per le nuove proteine nel futuro.

Intanto diciamo di cosa si tratta. La start-up utilizza la tecnologia di coltura cellulare, partendo da un piccolo numero di cellule che si differenziano in muscoli, grasso e altri tessuti. Il bagno di coltura contiene gli stessi elementi – zuccheri, proteine, vitamine, minerali, necessari per la nutrizione animale e nel processo non vengono utilizzati componenti di origine animale, come il siero fetale bovino.

Le proteine alternative sono considerate cruciali per costruire sistemi alimentari sostenibili a livello globale, in quanto riducono significativamente le emissioni, l’uso del suolo e dell’acqua rispetto alla produzione convenzionale, e evitano anche l’uso di antibiotici. Diversificare la produzione proteica è inoltre fondamentale per migliorare la sicurezza alimentare.

Secondo l’IPCC, gli effetti crescenti del riscaldamento globale e delle crisi ecologiche mostreranno i limiti dell’adattamento nella produzione agricola. Secondo la FAO il 90 percento del terriccio, la parte fertile del suolo da cui dipende la produttività agricola globale, sarà degradato entro il 2050. L’agricoltura causa un quarto delle emissioni e attraverso la deforestazione ha effetti negativi sul ciclo dell’acqua. Nel futuro, i sistemi alimentari dovranno ridurre il consumo di suolo e rendere possibile il ripristino di ecosistemi fragili. Quello che sta succedendo in Italia e nel Mediterraneo, dove la siccità è aumentata del 29 percento in dieci anni (dati ONU), è indicativo.

L’Italia non è messa bene. Il Mediterraneo e i Balcani stanno diventando un hotspot per i cambiamenti climatici.

Proiezioni realizzate con i modelli più avanzati indicano che si verificheranno notevoli cambiamenti nella regione. Dal 2021 in poi assistiamo ad un riscaldamento sostanziale e una diminuzione delle precipitazioni attorno al 5%. Le ondate di calore e gli incendi fanno il resto, con un aumento della desertificazione. La realtà sta persino superando i modelli.

La situazione attuale è già critica. La soglia minima di acqua necessaria per soddisfare il fabbisogno idrico in una regione è 1.700 m³ pro capite/anno. Nel Mediterraneo meridionale (noi) e orientale, 180 milioni di persone vivono in “povertà idrica” con soli 1.000 m³/anno. Di queste, circa 80 milioni sopravvivono in condizioni di grave carenza idrica (500 m³/anno). Una pressione crescente che contribuirà all’instabilità sociale e alle migrazioni di milioni di persone. Memo per la campagna elettorale.

In molte aree del Mediterraneo l’80% dei prelievi di acqua dolce disponibili dipende dall’agricoltura. La maggior parte dell’acqua per irrigare serve in estate, quando la domanda è massima e l’acqua meno.

L’innovazione tecnologica e biotecnologica nelle colture aiuterà, ma non sarà sufficiente. Bisognerà cambiare i modelli di produzione intensivi che impoveriscono il terreno e le risorse idriche in un circolo vizioso. Per questo la UE punta a decarbonizzare l’agricoltura e ridurre l’uso dei fertilizzanti chimici. Comunque il cmabiamento delle condizioni ambientali imporranno delle trasformazioni profonde, alcuni cultivar spariranno in determinate regioni, come anche il consumo di alcune derrate e prodotti. Sta a noi fare in modo qche questi cambiamenti siano governati e non subiti.

Per fortuna però, la tecnologia e l’innovazione stanno facendo grandi progressi. Una confluenza di avanzamenti nelle scienze biologiche con lo sviluppo accelerato della computazione, dell’automazione e dell’intelligenza artificiale (AI), sta alimentando una nuova ondata di innovazione che potrebbe avere un impatto significativo su economie e società, dalla salute all’agricoltura, dai beni di consumo all’energia.

Un rapporto del 2020 stima che fino al 60% degli input fisici globali potrebbe essere prodotto biologicamente, includendo sia materiali biologici che non biologici.

Come parte di questa ondata, la finlandese Solar Foods, un’impresa nata dall’incontro di un esperto di sistemi energetici e di un biologo ha aperto la prima fabbrica per produrre 160 tonnellate di cibo dall’elettricità e dall’aria. Un bioprocesso fermenta una polvere proteica, chiamata solein, da un microrganismo naturale non modificato. Il solein è già stato approvato a Singapore. L’azienda ha ricevuto di recente un finanziamento  del dal Consiglio Europeo per l’Innovazione (EIC), e presenterà domanda per autorizzare la vendita dsul mercato UE nel 2025.

Le nuove tecnologie mirano a rompere il legame tra suolo e cibo, lanciando effettivamente una rivoluzione nella produzione alimentare. Alcuni conservatori europei stanno già opponendosi a questi scenari. Italia e Ungheria hanno già approvato leggi nazionali che vietano la carne coltivata. A gennaio, un gruppo di paesi dell’UE ha emesso una nota evidenziando i rischi di tali tecnologie e il potenziale di concentrare la produzione alimentare nelle mani di poche grandi aziende.

Si tratta di un atteggiamento in parte comprensibile, ma piuttosto rischioso. Il potenziale di di queste soluzioni è enorme. La procedura di autorizzazione della UE prevede un coinvolgimento degli stati, ma è poco probabile che la maggioranza dei governi UE decida di precludersi un accesso a mercati tanto importanti e si releghi a una posizione di retroguardia rispetto alla ricerca internazionale, mettendo in pericolo autonomia e sovranità alimentare UE.

Chi si oppone poi nega un fatto ineludibile: la sostenibilità e la sussistenza dei nostri sistemi alimentari, in specie in Italia, è messa a rischio dal cambiamento climatico. Una minaccia diretta e immediata alla sicurezza nazionale, che oggi è riconosciuta nelle strategie militari dei maggiori paesi. Sull’ultimo punto, noto un’altra contraddizione. Attualmente, i mercati agricoli globali sono dominati da pochi grandi produttori che controllano settori chiave dell’industria agroalimentare: fertilizzanti, chimica, semi, materie prime, macchinari, genetica del bestiame e trasformazione. Proprio l’innovazione potrebbe aprire il campo a start-up e nuovi attori, come nel caso delle due aziende citate.

Altri esempi sono l’idroponia e il vertical farming. Un’alternativa ai fertilizzanti di sintesi è stata sviluppata da un’azienda inizialmente finanziata dal programma di ricerca della Commissione UE. L’agricoltura industriale ha enormi impatti negativi sull’ambiente. L’inquinamento da azoto ne é un esempio. L’uso eccessivo di fertilizzanti sintetici contribuisce all’acidificazione dei terreni, danneggiando la salute del suolo e riducendo la produttività agricola.

L’azienda usa la fotosintesi per catturare l’inquinamento da ossidi di azoto (NOx) dall’atmosfera convertirlo in nitrati che possono essere usati come fertilizzanti.

Non c’è il pericolo di compromettere la competitività delle proprie industrie nazionali con obiettivi ambientali troppo ambiziosi?

Direi il contrario. L’economia del futuro sarà una questione di buona e sostenibile innovazione. Per l’Europa, c’è anche la sfida di non perdere i mercati. La sfida viene da fuori. Prendiamo ancora una volta il caso della Cina. Pechino sta investendo moltissimo per sostenere lo sviluppo del settore delle nuove proteine e dell’innovazione agricola, come ha già fatto con i pannelli solari, le batterie agli ioni di litio e i veicoli elettrici.

Nel 2020, il Ministero della Scienza e della Tecnologia ha lanciato un programma nazionale, “Green Biological Manufacturing,” che finanzia la ricerca su proteine vegetali e carne coltivata. Gli scienziati cinesi hanno già sviluppato un processo per convertire la CO2 in amido.

Nel 2022, il Ministero dell’Agricoltura ha incluso la carne coltivata e altri “alimenti del futuro,” come le uova vegetali, nel suo piano quinquennale per l’agricoltura e la sicurezza alimentare.

Con il miglioramento della tecnologia, rimangono barriere alla produzione e distribuzione su larga scala. Il peso e la dimensione della Cina potrebbe cambiare questa situazione incoraggiando investimenti e creando un mercato significativo per la prossima rivoluzione verde.

La cooperazione può aiutare entrambe le parti ad accelerare e fare meglio.