‘Inquinanti eterni’, l’Europa valuta nuovi limiti per il Tfa: salute o richieste industriali?

L’acido trifluoroacetico, prodotto degradato di molti pesticidi, è ormai ovunque: nell’acqua, nel vino, nel cibo. L’Efsa stabilirà la nuova soglia nel 2026 ma secondo l'ong PAN Europe l'industria spinge per limiti più alti
20 ore fa
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Laboratorio

La lotta ai Pfas, gli onnipresenti e dannosi inquinanti eterni, si fa più dura. Al centro del dibattito si trova il Tfa (acido trifluoroacetico), un composto della famiglia delle sostanze per- e polifluoroalchiliche (Pfas, appunto), onnipresente e persistente nell’ambiente, la cui tossicità è al vaglio delle autorità europee. Il 23 settembre l’Ue lo ha inserito nei piani di monitoraggio delle risorse idriche, e l’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) dovrebbe stabilire all’inizio del 2026 il nuovo limite di assunzione giornaliera tollerabile. Ma cresce lo scontro tra comunità scientifica, istituzioni e industria chimica, con le ong che denunciano come l’industria abbia minimizzato i rischi e i regolatori non abbiano agito tempestivamente.

Cos’è il Tfa e perché preoccupa

Il Tfa è un Pfas ultra-corto, prodotto finale della degradazione di molte sostanze fluorurate, tra cui 32 sostanze presenti in pesticidi autorizzati in Europa. Estremamente solubile e mobile, riesce a penetrare nei suoli, raggiungere le falde e contaminare l’acqua potabile. La sua rimozione è quasi impossibile senza ricorrere all’osmosi inversa, un processo costoso e ad alta intensità energetica che comporta anche ingenti perdite d’acqua.

Secondo le stime, l’acqua potabile rappresenta circa il 20% dell’esposizione media al Tfa, che però si ritrova anche negli alimenti, nelle bevande e persino nel vino. La sua ubiquità lo rende una minaccia silenziosa ma persistente e dalle molteplici conseguenze sulla salute umana. Il Tfa fu segnalato per la prima volta come rischio per le acque sotterranee già nel 1998, ma negli anni l’Europa ha continuato ad approvare i pesticidi Pfas.

Dal 2024 le autorità sanitarie europee stanno rivalutando i rischi legati al Tfa, anche attraverso dati forniti dall’industria chimica attraverso studi svolti sugli animali. Ma secondo l’ong Pesticide Action Network, che il 29 settembre ha pubblicato un rapporto dal titolo ‘Manufacturing Doubt: how industry downplays TFA’s toxicity’, i produttori stanno provando a minimizzare i rischi in modo che venga stabilita una dose tollerabile più alta di quella che sarebbe necessaria per tutelare la salute delle persone.

La conclusione di PAN Europe è netta: il Tfa è dannoso, l’industria ha ritardato e distorto la valutazione della tossicità, e i regolatori non hanno agito tempestivamente.

Studi sugli animali e controversie

Uno degli studi in questione, su cui l’ong ha basato il proprio rapporto, è stato condotto sui conigli ed è stato presentato nel 2021. L’analisi, su animali esposti in utero a dosi elevate di Tfa, aveva evidenziato gravi malformazioni agli occhi e allo scheletro, oltre ad anomalie cardiache, epatiche e del midollo spinale. Secondo PAN Europe, gli effetti deleteri erano osservabili a tutte le dosi, rendendo impossibile individuare una soglia “sicura”.

Le aziende, riunite nella Tfa Task Force (che comprende colossi come Bayer, BASF, Corteva e Syngenta), hanno replicato i test nel 2024 con dosaggi più bassi, sostenendo che alcune anomalie osservate non fossero imputabili al Tfa ma a condizioni sperimentali. In particolare, hanno cercato di minimizzare la rilevanza delle malformazioni oculari, definendole “specifiche dei conigli”. Tuttavia, un documento del 2010 commissionato da Bayer mostrava malformazioni simili anche nei ratti e anche alla dose più bassa testata (37,5 mg/kg). Lo studio del 2024 ha indicato effetti avversi già a 60 mg/kg/giorno e alterazioni della chimica del sangue già a 30 mg/kg/giorno.

Secondo PAN Europe, i produttori stanno cercando di ottenere una soglia più alta di quello che servirebbe per tutelate la salute delle persone. Nello specifico, i produttori ritengono che la dose intermedia (60 mg/kg) non produca alcun effetto sugli animali esposti.

Le soglie di sicurezza: Efsa e Stati membri

L’Efsa intanto ha proposto un livello senza effetto di 8,65 mg/kg, dal quale ha ricavato una dose giornaliera tollerabile di 0,03 mg/kg per l’uomo. Una valutazione che però è già contestata: l’agenzia belga Vito ha individuato alterazioni nella biochimica del sangue a dosi più basse (5,2 mg/kg), mentre altri Stati membri hanno fissato limiti ancora più cautelativi per l’acqua potabile:

• Paesi Bassi: 2,2 μg/l (il limite più severo)
• Germania: 60 μg/l
• Fiandre (Belgio) 15.6 µg/L
• Lussemburgo 12 µg/L
• Francia: soglia come quella tedesca, provvisoria.

Secondo documenti riservati visionati da PAN Europe, la Task Force industriale spingerebbe per un valore di 294 μg/l, oltre 100 volte superiore agli standard nazionali più protettivi e calcolato solo sull’esposizione degli adulti. Inoltre, ignora i gruppi vulnerabili.

Industria e lobbying: il ‘manufacturing doubt’

L’ong denuncia una strategia già vista con altri inquinanti: il cosiddetto ‘manufacturing doubt‘, ovvero la produzione sistematica di dubbi scientifici per ritardare regolamentazioni stringenti. PAN Europe accusa i produttori di aver “distorto e ritardato” la valutazione della tossicità del Tfa, minimizzando effetti evidenti e invocando incertezze metodologiche. Anche alcuni parametri, come i cambiamenti nei marcatori dell’attività epatica, sarebbero stati ignorati dall’Efsa in quanto non ritenuti deleteri.

Un dibattito più ampio a Bruxelles

Il caso Tfa si intreccia con il dibattito più ampio sul bando dei Pfas in Europa. “Vogliamo che le imprese prosperino, ma mai a scapito della sicurezza e del benessere dei nostri cittadini”, ha dichiarato su LinkedIn il 2 settembre la commissaria europea per l’ambiente Jessika Roswall.

Eppure, la proposta iniziale di una “restrizione universale”, formulata nel gennaio 2023 da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia e aggiornata lo scorso 28 agosto, è stata progressivamente ridimensionata, con numerose esenzioni settoriali (militare, elettronica, tessile tecnico, trasporti) e con un’opzione che autorizzerebbe “la continuazione della fabbricazione, dell’immissione sul mercato o dell’uso di Pfas quando i rischi possono essere controllati“, applicabile a diversi settori.

A livello nazionale, invece, si moltiplicano le iniziative cautelative:

• la Francia ha approvato una legge per ridurre le emissioni industriali e vietare alcuni usi dei Pfas nei beni di consumo come prodotti tessili, cosmetici e cere;
• la Danimarca ha bandito diversi pesticidi Pfas e prodotti di largo consumo (indumenti, calzature e impermeabilizzanti);
• il Belgio ha annunciato un bando su alcune categorie di prodotti “senza attendere una decisione dall’Europa”, come ha fatto sapere il ministro dell’ambiente belga Jean-Luc Crucke.

Va comunque segnalato che oggi la Commissione ha adottato nuove misure che limitano l’uso di Pfas nelle schiume antincendio, una delle principali fonti di inquinamento nell’Unione, a norma del regolamento Reach. “Senza questa restrizione – commenta l’esecutivo in una nota -, circa 470 tonnellate di questo tipo di sostanze chimiche continuerebbero ad essere emesse nell’ambiente ogni anno, contaminando il suolo e l’acqua. Inoltre, i vigili del fuoco continuerebbero ad essere esposti alle Pfas presenti nelle schiume utilizzate”.

Nuovi limiti in Italia, gli Usa verso l’eliminazione dei divieti

Quanto all’Italia, il Bel Paese ha recentemente recepito e rafforzato la direttiva europea sulla qualità dell’acqua potabile, aggiornando la propria normativa sugli ‘inquinanti eterni (Decreto Legislativo 19 giugno 2025, n. 102)’. Le principali novità includono l’abbassamento del limite per la “somma Pfas” a 0,10 µg/L dal 13 gennaio 2026 e l’introduzione, per la prima volta, di un limite per il Tfa fissato a 10 µg/L, con controlli obbligatori a partire dal 13 gennaio 2027.

Tutt’altra musica quella suonata sull’altra sponda dell’Atlantico, dove gli Usa di Donald Trump sono impegnati nel togliere i divieti introdotti dall’ex presidente Joe Biden per i Pfas.

La lotta, insomma, continua, mentre ong e associazioni, tra cui Greenpeace, sottolineano che occorrerebbe arrivare allo “zero tecnico”, quindi a smettere di produrre gli inquinanti perenni. Anche perché l’ambiente ne è già pieno, e i nostri stessi corpi ne sono infiltrati. Per liberarcene, l’impresa è già titanica e richiederebbe, secondo alcune stime, 100 miliardi di euro l’anno.