Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Arvea Marieni*
L’agricoltura italiana – come quella europea – è alle prese con la crisi climatica. Ne ha parlato questa mattina al Parlamento europeo Jacob Jensen, Ministro danese per l’Alimentazione, l’Agricoltura e la Pesca, che ha illustrato le priorità della Presidenza danese per il nuovo semestre UE.
I principali avversari sono strutturali: siccità e degrado del suolo. Senza un cambiamento del modello intensivo, la situazione è destinata a peggiorare: la fertilità si riduce, i raccolti diminuiscono, i costi dei danni climatici si impennano, e il dibattito politico – che dovrebbe proporre soluzioni – rimane spesso ideologico e polarizzato, quindi sostanzialmente sterile.
Una strategia condivisa
In controtendenza, la Danimarca ha intrapreso una transizione accelerata e fondata sul consenso, grazie a uno storico Accordo Tripartito per una Danimarca Verde. Firmato un anno fa e recentemente approvato a larga maggioranza in Parlamento, l’accordo unisce governo, ambientalisti e mondo agricolo attorno a una strategia condivisa: rendere la produzione alimentare più sostenibile, tutelare le risorse naturali e rafforzare la competitività del settore.
Secondo una dichiarazione del presidente della principale lobby danese dell’agrifood, il patto “dimostra che un’industria alimentare solida e una transizione verde ambiziosa non sono affatto in conflitto. Gli agricoltori lo sanno”. La rappresentanza di Coldiretti che manifesta in queste ore in piazza a Bruxelles sembra non essere d’accordo.
L’obiettivo di Copenaghen è ridurre le emissioni del 70% entro il 2030 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Prima al mondo, la Danimarca introdurrà dal 2030 una tassa sul carbonio per agricoltura e allevamento, reinvestendo i proventi in iniziative verdi. Nel frattempo, sono stati vietati 23 pesticidi contenenti PFAS per proteggere acqua e salute, e Copenaghen si impegna a fare lo stesso a livello europeo.
Le misure prevedono non solo divieti, ma anche investimenti: dal 2021 un fondo da 700 milioni di corone (circa 94 milioni di euro) sostiene la ricerca con una partnership pubblico-privata – AgriFoodFuture – per innovare il settore, puntando a fare della Danimarca un leader globale nell’innovazione verde per il settore. Un ruolo chiave avranno proteine vegetali e nuove molecole.
Asset competitivo
La transizione verde, in questo contesto, non è solo una necessità ambientale, ma un’opportunità economica per nuovi mercati, posti di lavoro e maggiore produzione. Una sfida che si confronta con la visione di paesi come Francia, Italia e Spagna, tradizionalmente forti in agricoltura, e oggi colpiti pià duramente dalla crisi climatica. Cambiare modello per loro – e per noi – significa anche mettere in discussione culture alimentari profondamente radicate, che fanno parte della identità nazionale.
Anche in questi paesi, però, i piatti in tavola rischiano di cambiare presto. La mano degli europarlamentari più conservatori è sempre più limitata dalle catastrofi climatiche e dall’aumento degli interventi della protezione civile in tutta Europa. A pagarne il prezzo sono soprattutto gli agricoltori.
A partire dall’acqua, sempre più rara (o troppo abbandante), che è ormai diventata parte fondamentale della “strategia di resilienza integrata – civile e militare” – di cui si parla con crescente urgenza a Bruxelles.
In un contesto di instabilità globale, competizione strategica e crisi ambientali, per la nuova presidenza danese come per tutta la UE l’agricoltura verde non è solo una priorità ecologica o un motore economico, ma soprattutto una leva geopolitica per rafforzare sicurezza e resilienza interna. Se sicurezza idrica e alimentare sono obiettivi obbligati per i 27 Stati membri, questi non possono però essere raggiunti senza una profonda trasformazione dei sistemi agricoli e della gestione di suoli e foreste. Un dato di fatto con cui la narrativa della politica nazionale dovrà imparare a confrontarsi presto.
Modello operativo e semplificazione
Per accelerare la transizione, Copenaghen introduce nuove strutture operative a livello ministeriale e locale, con l’obiettivo di velocizzare l’azione ambientale e semplificare la burocrazia. È un cambio di paradigma: meno ideologia, più adattamento intelligente.
Un punto chiave per gli agricoltori è il principio di intercalibrazione: gli obiettivi ambientali nazionali – spesso più ambiziosi di quelli dell’UE – dovranno tenere conto del peso delle emissioni di azoto e CO₂, così come delle norme sulla qualità delle acque dei Paesi confinanti, come Germania e Svezia, con cui la Danimarca condivide mari, fiordi e bacini idrici. In altre parole, la “quota di responsabilità” di ciascun Paese.
Tutto questo mentre Bruxelles lavora all’implementazione della nuova strategia per la resilienza idrica dell’UE, e il Commissario per la Politica Regionale, Raffaele Fitto, ha inserito l’acqua tra le cinque priorità della politica di coesione.
L’approccio danese, che potrebbe diventare un modello per la nuova Politica Agricola Comune dell’UE attualmente in discussione, consente di concentrare risorse e sforzi nelle aree dove l’impatto delle emissioni locali è più rilevante, come nei fiordi chiusi, evitando restrizioni generiche e troppo rigide in zone dove l’inquinamento proviene principalmente da fonti esterne.
Per gli agricoltori, questo si traduce in meno burocrazia e in regole più mirate, all’interno di un quadro normativo chiaro, che consente di praticare un’agricoltura competitiva ma più sostenibile a livello europeo.
Tra commercio internazionale e mercato unico
Conciliare obiettivi ambientali e climatici ambiziosi con la redditività del settore agricolo, è oggi la grande sfida da affrontare. Serve un equilibrio con il commercio internazionale e le tutele: come applicare standard simili a produttori extra UE? I trattati includeranno “clausole specchio”? E l’accordo Mercosur? Molte domande restano in attesa della proposta della Commissione per la nuova PAC.
La riforma richiederà anche un rafforzamento del mercato unico europeo per garantire un level playing field e sostenere soprattutto piccoli e medi agricoltori, oggi svantaggiati rispetto ai grandi gruppi. Un’agricoltura sostenibile passa dal riequilibrio a favore dei piccoli, I cui margini sono oggi schiacciati tra fornitori di input chimici a monte e dalla grande distribuzione a valle della catena di valore. In questo ambito, l’europarlamentare italiano Stefano Bonaccini gioca un ruolo importante, come rapporteur sul contrasto alle pratiche commerciali sleali (UTPs). La Direttiva UE 2019/633 vieta già 16 pratiche sleali, proteggendo i fornitori più deboli come agricoltori, cooperative e PMI. Tutti gli Stati l’hanno recepita e ora si lavora per rafforzare il regolamento OCM e l’applicazione transfrontaliera delle norme.
La situazione in Italia
Secondo il Rapporto ISPRA 2024, nel 2023 oltre il 60% del territorio ha sofferto stress idrico prolungato, colpendo duramente Emilia-Romagna, Sicilia e Puglia. Le rese cerealicole sono crollate fino al 40% in alcune aree e il 30% delle superfici agricole è inquinato: 50 milioni di tonnellate di suolo fertile sono perse ogni anno (CREA, 2023).
Senza interventi, i danni economici diretti potrebbero superare i 200 miliardi entro il 2050. Da aggiungere altri costi come assicurazioni, irrigazione e risarcimenti. La sola domanda idrica agricola potrebbe aumentare del 25–30%, in un paese già a rischio di esaurimento delle risorse idriche.
Eppure, soluzioni esistono. Serve un mix di innovazione e tradizione, combinando nuove molecole a basso impatto, pesticidi bio, e pratiche agroforestali, come coperture vegetali, rotazioni, siepi multifunzionali e zone umide. Sono interventi di adattamento concreti e a basso costo, già sperimentati con successo dalla Maremma toscana alle colline del Prosecco. Secondo la Commissione Europea, se adottate sul 30–40% del territorio agricolo, queste soluzioni potrebbero ridurre del 50% i danni da eventi estremi e siccità entro il 2050.
La PAC 2023–2027 assegna all’Italia oltre 12 miliardi per la transizione agroecologica. Sono stati usati bene? E cosa succederà con il nuovo regime di incentivi che saranno probabilmente legati a risultati verdi? Serve una narrazione nuova per l’agricoltura nazionale. Non è una battaglia ideologica, ma una necessità economica e produttiva. Soluzioni intelligenti e a basso costo possono garantire continuità produttiva, autonomia idrica e stabilità dei redditi soprattutto per i produttori più fragili.
L’ambiente è già cambiato. Continuare come sempre significa restare a secco. Il modello danese, mostra che è possibile conciliare competitività e sostenibilità. Il tempo per cominciare era ieri.
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*Arvea è imprenditrice e manager dell’innovazione, specializzata nella cooperazione su clima e ambiente tra Unione Europea e Cina. Direttrice delle soluzioni per la transizione ecologica presso la società di ingegneria francese BEAM CUBE, è esperta certificata dal Ministero della Ricerca francese (CIR) e svolge diversi incarichi per la Commissione Europea, tra cui membro del gruppo di lavoro sulla transizione industriale della DG REGIO e giurata per il Consiglio Europeo dell’Innovazione (EIC).