Cosa farà il commissario europeo alla Difesa (e che fine farà il Green Deal)

Antonio Parenti, intervistato per Eurofocus, il nuovo podcast quotidiano di Adnkronos, parla del commissario proposto da von der Leyen, di cosa può fare l'UE in Ucraina e del futuro delle politiche ambientaliste
2 mesi fa
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Antonio Parenti
Antonio Parenti, direttore della Rappresentanza della Commissione europea in Italia

Può esserci un coinvolgimento più ampio dell’UE in Ucraina? Che poteri potrà avere un commissario europeo alla Difesa? Il Green Deal reggerà all’urto delle elezioni dell’8 e 9 giugno? Sono alcune delle domande che Giorgio Rutelli ha rivolto ad Antonio Parenti, direttore della rappresentanza della Commissione europea in Italia, in un’intervista per il nuovo podcast di Adnkronos, Eurofocus.

Non credo che l’Unione sia attrezzata oggi per un intervento diretto in Ucraina, se non sotto l’ombrello o in seguito a una decisione della Nato. Oggi l’UE può e deve fornire all’esercito ucraino armi, munizioni, e in generale la capacità di resistere ed eventualmente contrattaccare per riconquistare parte del territorio invaso dalla Russia. Potrebbe esserci un coinvolgimento di esperti a supporto delle truppe ucraine, ma faccio fatica in questo momento a vedere un coinvolgimento diretto delle truppe sul terreno”, spiega Parenti, commentando le frasi del presidente francese Emmanuel Macron. “E’ evidente la necessità di fare in tempi molto brevi degli sforzi importanti. La spinta russa è legata alla paura che gli aiuti americani, che dal punto di vista militare sono i più sostanziosi, possano cambiare le sorti al fronte. Dunque stanno spingendo il più possibile prima che questi aiuti arrivino”.

La presidente Ursula von Der Leyen alla conferenza sulla sicurezza di Monaco ha promesso che se sarà riconfermata presidente proporrà l’istituzione di un Commissario europeo alla Difesa. E’ una strada percorribile, e che poteri avrebbe, chiediamo ad Antonio Parenti. “I suoi poteri saranno decisi dopo le elezioni, naturalmente. Anche perché alcune delle competenze al momento sono in capo all’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Questo non vuol dire che non ci sia uno spazio per un Commissario alla Difesa, visto il livello di sforzi necessari in termini di coordinamento, anche industriale, del settore. Noi parliamo spesso della soglia del 2% di Pil destinato alla Difesa richiesta dalla Nato, ma a livello europeo il livello di investimento è già notevole: sommati, spendiamo il 40% rispetto agli americani, più o meno la stessa cifra dei cinesi, e 3-4 volte di più della Russia pre-2022. Dunque c’è una necessità forte di avere un’industria della Difesa che possa sostenere in misura coerente una maggiore integrazione tra gli eserciti, che è una decisione invece di tipo politico”, spiega Parenti”.

“Dunque un futuro Commissario sicuramente avrebbe uno spazio di coordinamento industriale enorme davanti a sé, basti pensare che noi in Europa produciamo 4-5 carri armati diversi, mentre negli Usa solo uno. Certo, tutti i 27 paesi, a eccezione credo del Lussemburgo, hanno delle industrie della Difesa, ma dobbiamo evitare lo spreco di soldi in ricerca e sviluppo, lo spreco di possibilità di avere economie di scala. Non dimentichiamo poi che questo settore, come è successo negli Stati Uniti, è stato un grandissimo volano di crescita. Un’industria della difesa performante garantisce ricadute tecnologiche cruciali in ambito civile. Non per andare a fare missioni di conquista all’estero, ma per difendere noi stessi e aiutare a difendersi quei paesi che vogliono restare in una traiettoria di sviluppo democratico. Questo sarà uno dei dossier più importanti della prossima Commissione”.

A proposito di prossima commissione, von der Leyen ha aperto il suo (primo?) mandato con il discorso sul Green Deal nel 2019 e lo chiude cestinando la proposta di regolamento sull’uso dei pesticidi in agricoltura, per placare gli agricoltori in protesta sui trattori e i parlamentari che temevano di perdere consensi con normative troppo stringenti in campo ambientale. Che ne sarà della spinta ecologista dopo le elezioni? La risposta di Parenti è netta: “La spinta per il Green deal non nasce da un vezzo della presidente o di questa commissione. Nasce da una realtà inequivocabile: stiamo correndo un grandissimo rischio. Se la temperatura media in Europa superasse i tre gradi rispetto alle medie storiche il problema non sarà salvaguardare l’agricoltura, perché con tutta probabilità non ci sarà quasi più agricoltura in Europa, e il grano lo potremo coltivare solo in Finlandia. Non è una follia ideologica, è la necessità di portare il nostro continente a una neutralità climatica al 2050. E a chi mi dice che oggi Cina e India inquinano molto più di noi, rispondo che negli ultimi due secoli abbiamo immesso il 25% di gas climalteranti nell’atmosfera, e dunque non possiamo usare l’evoluzione di questi Paesi verso una società più benestante come scusa per fermare il nostro impegno. Noi dobbiamo assumere un ruolo di leadership in campo ambientale”.

Parlando dei costi della transizione, Parenti ammette che sarà necessario un continuo calcolo di costi e benefici, “per evitare che alcune parti della società o alcune industrie finiscano schiacciate. Ma non dimentichiamo che 1/3 del Pnrr è destinato proprio per interventi in campo ecologico. La spinta green ha ricadute positive su tanti settori dell’economia, mentre un’inazione porterebbe danni incalcolabili. Nel prossimo quinquennio continueranno gli studi di impatto, le discussioni con i settori interessati, e ci sarà anche un ricalcolo dei fondi necessari oggi per ottenere dei risparmi domani. Pensi all’efficienza delle abitazioni: quello che oggi viene investito in lavori di ristrutturazione, domani si recupera con bollette energetiche più basse ed emissioni sostenibili”.