Gli italiani sono tra i più preoccupati d’Europa per il cambiamento climatico. E anche tra i più delusi dalle risposte del proprio governo. Secondo Eurobarometro, il 75% degli italiani ritiene che l’esecutivo nazionale non stia facendo abbastanza per affrontare gli effetti del riscaldamento globale. Si tratta di un giudizio più severo rispetto alla media europea (67%) e in peggioramento rispetto al 2023. Solo cinque Paesi esprimono un grado di insoddisfazione più alto: Svezia, Francia, Grecia, Croazia e Slovacchia.
La valutazione arriva in un contesto in cui gli italiani mostrano livelli di consapevolezza e aspettativa superiori alla media europea. Il 66% indica nei governi nazionali gli attori principali per guidare la risposta climatica, mentre il 91% si aspetta un Paese ben preparato di fronte alle nuove emergenze ambientali. Ma tra aspettative e realtà si apre un divario evidente.
Italiani consapevoli e critici
Nel dettaglio, l’86% degli italiani considera il cambiamento climatico un problema serio, un dato perfettamente in linea con la media Ue. Il supporto all’obiettivo europeo della neutralità climatica entro il 2050 è invece più alto in Italia (84%) rispetto alla media continentale (81%). Allo stesso modo, il 46% degli italiani si percepisce personalmente esposto a rischi ambientali e climatici, contro il 38% del dato medio europeo.
Anche sul fronte delle priorità politiche, le posizioni italiane sono più nette. Il 95% considera importante aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili, mentre il 94% chiede di migliorare l’efficienza energetica. Percentuali superiori a quelle aggregate dell’UE, che si attestano all’88%. Inoltre, il 90% sostiene l’idea che le aziende europee debbano ricevere più supporto pubblico per competere nel mercato globale delle tecnologie pulite.
Il punto di attrito principale riguarda l’azione politica. Solo il 23% degli italiani — contro una media Ue del 28% — ritiene che le azioni individuali siano sufficienti a contrastare la crisi climatica. Per il resto, la responsabilità viene attribuita al governo nazionale (66%), all’Unione europea (59%) e al settore industriale (58%). Ma il giudizio sull’efficacia dell’azione politica è fortemente negativo, soprattutto a livello nazionale.
Pronti a cambiare (ma se lo fa anche lo Stato)
Gli italiani non si limitano a dichiarazioni di principio. Il 91% vorrebbe che lo Stato fosse ben preparato ad affrontare le sfide climatiche. E una quota molto alta — 86% — si dice disposta a cambiare auto e passare all’elettrico, a patto che ci siano incentivi pubblici e che vengano interrotti i sussidi alle fonti fossili. La disponibilità individuale al cambiamento è condizionata da politiche pubbliche chiare, orientate e coerenti.
Tuttavia, l’effettiva mobilitazione personale appare più debole che altrove. Solo il 46% degli italiani afferma di aver compiuto almeno un’azione concreta per il clima negli ultimi sei mesi, contro circa il 60% della media europea. La raccolta differenziata regolare coinvolge il 64%, mentre meno di un quarto usa alternative all’auto privata (26%) o riduce il consumo di carne (25%).
Il dato segnala un paradosso: consapevolezza alta, ma azione quotidiana limitata. E conferma che, senza una spinta strutturale da parte delle istituzioni, la disponibilità individuale rischia di restare potenziale non espresso.
Informazione e fiducia
La qualità dell’informazione è un altro nodo. Secondo Eurobarometro, il 52% degli europei ritiene che i media tradizionali non forniscano informazioni chiare su cause e conseguenze del cambiamento climatico. Il 49% segnala difficoltà nel distinguere contenuti affidabili sui social. Anche in questo campo, la distanza tra la complessità del tema e la capacità del sistema informativo di renderlo accessibile e comprensibile resta ampia.
In Italia, il problema informativo è sottotraccia ma rilevante. La fiducia nei media è bassa, e la comunicazione politica è spesso giudicata generica o contraddittoria. In un contesto in cui il 90% degli italiani riconosce che il cambiamento climatico è causato dalle attività umane, l’assenza di una narrazione pubblica efficace rallenta l’attivazione sociale e la pressione dal basso sulle istituzioni.