Nel cuore della corsa globale all’intelligenza artificiale, l’energia diventa la posta in gioco decisiva. Lo ha detto chiaramente Eric Schmidt, ex Ceo di Google, rivolgendosi poche settimane fa al Congresso americano: senza massicci investimenti nella rete elettrica, gli Stati Uniti rischiano di perdere il primato tecnologico a vantaggio della Cina. Un messaggio forte, raccolto anche da altri leader del settore, che hanno lanciato l’allarme: i data center di nuova generazione, alimentati da chip sempre più potenti e algoritmi sempre più affamati di calcolo, hanno bisogno di una rete stabile, scalabile e sicura. Senza, l’intero ecosistema digitale potrebbe collassare.
Un monito che arriva mentre in Europa è ancora vivo l’impatto simbolico e psicologico del black-out che ha colpito la Spagna due settimane fa, lasciando per ore intere regioni senza corrente. Un segnale inquietante, che accende i riflettori sulla vulnerabilità delle nostre infrastrutture proprio nel momento in cui la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale moltiplicano la domanda di energia.

Ma l’Italia è pronta? E come si sta muovendo l’Europa? In che modo il nostro sistema elettrico può affrontare l’impatto dei nuovi data center, senza mettere a rischio né la sostenibilità né la competitività?
Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato Virginia Canazza, partner di Key to Energy, esperta di energia e infrastrutture, che ci guida in un’analisi lucida e dettagliata su ciò che ci aspetta nei prossimi anni: investimenti, rischi, tecnologie e politiche da adottare per non restare indietro nella corsa globale alla nuova era digitale.
I data center sono sempre più al centro del dibattito sull’energia. Qual è oggi la loro incidenza sui consumi e che prospettive ci attendono in Italia e in Europa?
Oggi i consumi elettrici dei data center rappresentano circa il 2% del consumo mondiale. In Europa siamo intorno al 2,5% e in Italia all’1,6% (dati 2024). Ma le proiezioni parlano chiaro: secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, si prevede un raddoppio dei consumi globali al 2030. In Italia, solo nel prossimo biennio, si passerà da circa 5 terawattora a 10. Questo significa una crescita fortissima, a cui corrispondono investimenti molto consistenti: oltre 100 miliardi nel mondo nel 2024, 30 miliardi in Europa, e 5 miliardi in Italia solo nello scorso biennio, destinati a raddoppiare.
Quali sono i fattori principali che stanno spingendo questa domanda di energia?
Sono tre i principali driver: la crescente digitalizzazione, l’aumento della richiesta di servizi a bassa latenza, e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che è estremamente energivora. Una singola richiesta a ChatGpt, ad esempio, consuma dieci volte più energia di una ricerca su browser standard. Inoltre, la popolazione connessa e il benessere economico sono sempre più legati alla disponibilità di connettività. Parallelamente, ci sono anche spinte verso l’efficienza tecnologica: ogni tre anni, l’efficienza energetica raddoppia. Ma questa efficienza viene spesso riassorbita dall’espansione delle infrastrutture. Il risultato è che, in termini assoluti, i consumi continuano a salire.
L’accesso a una fornitura stabile e sicura diventa quindi un fattore strategico. L’Europa è pronta?
L’Europa e l’Italia stanno affrontando questa transizione in un momento complesso: la domanda si elettrifica sempre di più (trasporti, riscaldamento, edilizia), mentre si punta a sostituire la generazione fossile con fonti rinnovabili. È fondamentale investire non solo nella produzione, ma anche nelle infrastrutture a corredo: reti elettriche efficienti, accumuli energetici, sistemi flessibili e resilienti. Senza questi elementi, non è possibile garantire sicurezza, continuità e sostenibilità.
Negli Stati Uniti è forte la preoccupazione per la fragilità della rete elettrica. E in Europa? L’Italia che ruolo può giocare?
In Europa la rete è molto interconnessa e stabile, ma ci sono limiti. I profili di consumo dei data center sono costanti tutto l’anno: richiedono continuità, ridondanza e robustezza. Le aree tradizionali come Francoforte, Amsterdam, Londra, Parigi e Dublino hanno raggiunto la saturazione. In Irlanda, i data center arrivano a rappresentare il 20% del consumo elettrico nazionale. Ora stanno emergendo nuovi hub come i Paesi nordici e Madrid, dove il clima o la disponibilità di rinnovabili offrono vantaggi. L’Italia ha un’opportunità notevole: è baricentrica nel Mediterraneo, vicina ai cavi sottomarini che collegano Europa, Asia e Africa, ed è al centro delle reti di interconnessione.
Quali sono le aree più promettenti per lo sviluppo di data center in Italia?
La Lombardia è oggi la regione privilegiata, soprattutto l’area di Milano, per la vicinanza ai nodi di scambio dati e per la presenza di operatori consolidati. Ma si stanno sviluppando anche grandi impianti rinnovabili al Centro e Sud, nelle isole, dove la producibilità solare ed eolica è maggiore. Il sistema elettrico italiano è flessibile: abbiamo un mix di rinnovabili, idroelettrico e termico efficiente. Oggi circa il 40% della domanda è coperta da rinnovabili, con l’obiettivo di superare il 60% entro il 2030.
L’elettricità in Italia è più costosa rispetto ad altri Paesi europei. È un ostacolo competitivo?
Sì, il nostro prezzo marginale è più alto per via dell’elevata incidenza del termoelettrico a gas e dell’assenza di nucleare. Importiamo molta energia, in particolare dalla Francia. Tuttavia, esistono strumenti normativi e regolatori per calmierare l’impatto sui consumatori, soprattutto quelli energivori. Inoltre, si sta puntando molto sull’accoppiamento tra rinnovabili e consumi, anche attraverso schemi evoluti di autoconsumo e sinergie con il territorio.
Ci sono tecnologie o best practice per rendere i data center più sostenibili anche a livello ambientale?
Sì, esiste il “Climate Neutral Data Centre Pact”, lanciato nel 2021 e sostenuto da oltre 100 operatori. L’obiettivo è ridurre i consumi ausiliari, in particolare quelli legati al raffreddamento (che rappresentano il 40% dei consumi totali di un data center), adottare tecnologie meno impattanti (ad aria o con liquidi alternativi), e riutilizzare il calore prodotto per il teleriscaldamento. Anche in Italia ci sono linee guida ambientali specifiche per i nuovi progetti.
La normativa italiana è pronta a gestire questa nuova realtà industriale?
Non ancora del tutto. I data center finora sono stati assimilati a edifici industriali, con autorizzazioni comunali. Ma ora parliamo di impianti da 150-200 megawatt ciascuno. Le richieste di connessione in Italia ammontano a 40 gigawatt. Serve una pianificazione coordinata tra rete, accumuli, rinnovabili. Un primo passo positivo è l’unificazione dei disegni di legge in un testo unico che riconosce il valore strategico del settore e punta a snellire le procedure autorizzative e rendere più attrattivo il Paese.
E le utility italiane? Sono pronte a sostenere questo sforzo?
Le utility italiane sono oggi solide, integrate, competenti e aperte all’innovazione. Sono in grado di offrire mix di fornitura elettrica flessibile e sostenibile. Gli investimenti infrastrutturali sono già pianificati, le reti si stanno adeguando. Il prezzo unico nazionale aiuta a garantire stabilità anche in un mercato eterogeneo.
Guardando al futuro, quale prospettiva vedi? Rischiamo un picco ingestibile o possiamo cogliere un’opportunità di rilancio?
Serve attenzione, ma non bisogna avere paura. È una grande opportunità. Dobbiamo trarre lezione dalle esperienze altrui, porre da subito delle condizioni virtuose — come il collegamento tra sviluppo dei data center e nuova capacità rinnovabile — e lavorare su chiarezza normativa, connessioni, sostenibilità. L’Italia può davvero giocare un ruolo da protagonista, diventare un “great place for data” in Europa e accelerare la transizione digitale ed energetica insieme.