Accordi Israele-Ue a rischio? Nella lente la tragedia umanitaria a Gaza 

Bruxelles avvia la revisione dell’accordo di associazione con Tel Aviv: diritti umani al centro del confronto, ma l’Italia si sfila
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Kaja Kallas, Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, risponde alla stampa all’arrivo al Consiglio Affari Esteri dell’Unione europea, Bruxelles, 20 maggio 2025 (Afp)

L’Unione europea ha ufficialmente intrapreso un percorso che fino a pochi mesi fa appariva impensabile: riesaminare il proprio accordo di partenariato con Israele. Con una maggioranza netta, 17 Stati membri hanno chiesto di avviare il processo, mettendo in discussione uno dei capisaldi del rapporto tra Bruxelles e Tel Aviv.

Il nodo centrale? L’articolo 2, che impone il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici come fondamento imprescindibile dell’accordo. “Le relazioni tra le Parti, nonché tutte le disposizioni dell’Accordo stesso, si basano sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, che guidano la loro politica interna e internazionale e costituiscono un elemento essenziale del presente Accordo”. Non si tratta di una clausola simbolica: è un vincolo giuridico a tutti gli effetti, la cui violazione può portare anche alla sospensione del trattato.

“Abbiamo avuto un confronto molto intenso sulla situazione in Medio Oriente. La situazione a Gaza è catastrofica: gli aiuti che Israele ha consentito di far entrare sono una goccia nel mare, devono fluire immediatamente, senza ostacoli e su larga scala perché ce n’è bisogno. Ho sollevato questo punto con Israele, le Nazioni Unite e i leader regionali; serve pressione per cambiare la situazione”, ha sottolineato l’Alta rappresentante per gli Affari Esteri, Kaja Kallas.

L’intensificarsi delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza e il protrarsi del blocco umanitario hanno spinto l’Unione ad agire. La proposta, originata dall’Olanda e subito sostenuta da Francia, Spagna, Svezia, Irlanda e altri, riflette una frattura profonda: la crescente distanza tra i valori dichiarati dall’Ue e l’inerzia di fronte a gravi crisi umanitarie.

L’accordo Ue-Israele, siglato nel 1995 ed entrato in vigore nel 2000, ha sempre garantito benefici economici significativi per entrambe le parti. Ma se Tel Aviv venisse ritenuta in violazione dei suoi obblighi etici, l’Unione potrebbe sospendere il regime preferenziale, con conseguenze tangibili sugli scambi commerciali che oggi superano i 45 miliardi di euro l’anno.

Non tutti, però, hanno condiviso questa linea. Nove i Paesi contrari: Italia, Germania, Ungheria, Grecia, Croazia, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca e Lituania (mentre la Lettonia ha scelto di astenersi). Una posizione destinata a pesare tanto sulle dinamiche interne all’Ue quanto sul posizionamento internazionale di chi ha deciso di non esporsi.

Israele perde terreno anche tra gli alleati storici

La decisione europea non si inserisce in un vuoto. È parte di un più ampio cambiamento nei rapporti diplomatici internazionali nei confronti di Israele. A partire da Londra: il governo britannico ha sospeso i colloqui per un nuovo accordo di libero scambio e ha annunciato sanzioni mirate contro coloni violenti attivi in Cisgiordania. Anche il Canada ha parlato apertamente di possibili violazioni del diritto internazionale, mentre la Francia ha rilanciato la volontà di riconoscere uno Stato palestinese.

Persino gli Stati Uniti, da sempre garanti della sicurezza israeliana, sembrano voler riconsiderare il loro approccio. Durante un recente viaggio nella regione, il presidente Donald Trump ha evitato Gerusalemme, preferendo colloqui con gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita e il Qatar. Un gesto che molti osservatori hanno interpretato come un chiaro segnale di disapprovazione.

Nel Sud globale, la disapprovazione è ancora più marcata. Brasile, Colombia e Belize hanno già interrotto le relazioni diplomatiche, mentre la Turchia ha imposto un embargo commerciale totale. In parallelo, il Sudafrica sta portando avanti un’offensiva legale alla Corte Internazionale di Giustizia.

Il consenso che per decenni aveva blindato Israele sulla scena internazionale oggi si sgretola sotto il peso della tragedia umanitaria in corso a Gaza.

L’Unione europea spaccata sulla linea da seguire

L’esito del Consiglio Affari Esteri (17 favorevoli, 9 contrari e 1 astenuto) ha cristallizzato una divisione profonda all’interno dell’Ue. La spaccatura, che si riflette anche nei rapporti con l’opinione pubblica, rischia di compromettere l’unità dell’azione esterna dell’Unione. L’articolo 2 non è una norma qualunque: rappresenta il fondamento etico di ogni partnership dell’Ue. E ignorarlo, di fronte a denunce così gravi, significa minare la credibilità stessa del progetto europeo.

La Commissione europea, pur mantenendo la prudenza, ha riconosciuto che il sostegno di 17 Stati è un segnale politico forte. Tuttavia, affinché si possa arrivare a sanzioni o sospensioni, servirà l’unanimità: ogni Stato membro ha diritto di veto. Lo si è visto chiaramente con il fallimento delle sanzioni contro i coloni violenti, bloccate dall’opposizione ungherese. È proprio questo meccanismo a rischiare di vanificare l’efficacia dell’azione europea, rendendo ogni mossa dipendente dai calcoli geopolitici nazionali. Ministri come la svedese Maria Malmer Stenegard o la slovena Tanja Fajon hanno chiesto sanzioni mirate contro alcuni esponenti dell’esecutivo israeliano. Ma finché persiste l’obbligo del consenso unanime, anche le misure più decise rischiano di restare sulla carta.

Italia in controtendenza

Tra i Paesi che si sono espressi contro l’avvio della revisione dell’accordo di associazione con Israele, l’Italia si distingue per il suo peso politico all’interno dell’Unione. Roma ha scelto una linea prudente, preferendo non sostenere una proposta che, pur non implicando la sospensione dell’accordo, mira a verificare il rispetto di una clausola fondamentale relativa ai diritti umani.

Le ragioni di questa posizione non sono state ufficialmente articolate, ma si possono ricondurre a valutazioni strategiche legate agli interessi economici bilaterali, alla cooperazione in ambito tecnologico e difensivo, e a un’impostazione diplomatica orientata alla stabilità del partenariato con Tel Aviv. L’Italia mantiene da tempo relazioni consolidate con Israele, considerate centrali anche nel contesto della sicurezza e della politica industriale.

Tuttavia, questa scelta la colloca su un fronte minoritario rispetto alla maggioranza dei partner europei. A Bruxelles, alcuni osservatori sottolineano che tale posizione potrebbe tradursi in una minore incisività nelle future dinamiche negoziali su dossier sensibili dell’area euromediterranea. In un’Unione che punta sempre più a un approccio coeso e basato su valori condivisi, il rischio è che l’assenza di allineamento su questioni di forte impatto politico finisca per limitare il margine d’azione nei tavoli decisionali multilaterali.

Cosa può fare davvero l’Ue

Al di là dei proclami, resta da capire se la revisione dell’accordo con Israele sarà in grado di produrre effetti concreti. Le sfide principali sono due: da un lato, accertare in modo inequivocabile eventuali violazioni dei diritti umani; dall’altro, ottenere un consenso unanime tra i 27 Stati membri per eventuali misure conseguenti.

Sul piano giuridico, la Commissione dovrà basarsi su documentazione solida: relazioni delle Nazioni Unite, rapporti di ONG indipendenti, testimonianze verificate. È un lavoro complesso, ma non privo di precedenti: già oggi, numerosi osservatori parlano apertamente di crimini di guerra e di uso sproporzionato della forza nella Striscia di Gaza.

Sul versante politico, invece, l’ostacolo principale resta il meccanismo del voto all’unanimità. Finché anche un solo Paese avrà la possibilità di opporsi, ogni tentativo di adottare sanzioni rischia di essere vanificato. È già successo con il pacchetto di misure contro i coloni violenti in Cisgiordania, bloccato dal veto ungherese.

Tuttavia, il contesto si muove. Anche se la revisione formale richiede tempo, si moltiplicano segnali di un’evoluzione in corso. In diversi Stati membri, i Parlamenti stanno discutendo proposte per limitare la cooperazione militare con Israele. A livello europeo, il Parlamento ha approvato il rifinanziamento dell’UNRWA con 82 milioni di euro e si è espresso a favore di un possibile embargo sulle armi. Sono iniziative che, pur non facendo parte del processo tecnico di revisione dell’accordo, mostrano una crescente volontà politica di allineare l’azione dell’Ue ai suoi principi fondativi.

L’eventuale sospensione dell’accordo con Israele rappresenterebbe un passaggio storico. Ma anche solo l’avvio di una revisione formale è, di per sé, una svolta: è la prima volta che l’Unione applica in modo così esplicito la clausola etica dei propri trattati a un partner strategico di lungo corso.

Il mondo guarda. Le capitali mediorientali osservano ogni mossa. Le società civili europee chiedono coerenza. E a Gaza, ogni giorno che passa senza aiuti, si traduce in sofferenza umana.