L’Italia ha ricevuto ieri 8,7 miliardi di euro dalla Commissione europea come sesta rata del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un traguardo che segna non solo un flusso finanziario vitale, ma anche una nuova fase di verifica per un Paese che continua a essere il principale beneficiario dei fondi europei con un totale di 122,2 miliardi di euro già erogati. La premier Giorgia Meloni, in una nota diffusa da Palazzo Chigi, ha parlato di “un risultato positivo che permetterà all’Italia di investire in molti settori strategici intensificando la produzione in attività in cui questo governo ha creduto fin dal suo insediamento”. Ma dietro i numeri e gli annunci trionfali, emergono interrogativi cruciali sulla capacità del sistema italiano di tradurre queste risorse in cambiamenti strutturali duraturi.
Gli obiettivi della sesta rata: investimenti e riforme
Il versamento di questa tranche è stato subordinato al raggiungimento di 39 obiettivi, suddivisi in 23 milestone e 16 target. Tra questi figurano investimenti significativi, come il potenziamento dei collegamenti ferroviari nel Mezzogiorno e nel centro Italia, l’autonomia energetica attraverso nuove infrastrutture per il gas, e il rinnovo della flotta dei Vigili del Fuoco. In parallelo, sono stati attivati crediti d’imposta per la transizione ecologica 4.0 e misure per facilitare l’adozione di tecnologie innovative nelle imprese. A livello di riforme, spiccano gli interventi per combattere il lavoro sommerso e lo sfruttamento, oltre alla definizione di standard nazionali per la professione di guida turistica.
Il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione, Tommaso Foti, ha elogiato i progressi compiuti nel settore della giustizia amministrativa, evidenziando una riduzione del 35% dell’arretrato presso il Consiglio di Stato e del 25% nei tribunali amministrativi regionali. Foti ha inoltre sottolineato che il governo sta già lavorando per la formalizzazione della settima rata, prevista entro fine anno, con un focus particolare sul monitoraggio delle misure e sull’allineamento della piattaforma ReGiS con i reali investimenti in corso.
Un Pnrr da primato, ma con quali sfide?
Con una dotazione complessiva di 194,4 miliardi di euro, il Pnrr italiano è il più ambizioso tra quelli europei. Tuttavia, la sua attuazione deve affrontare un contesto economico e sociale complesso. La pandemia da Covid-19 e, più recentemente, la crisi energetica causata dall’invasione russa dell’Ucraina, hanno accentuato le fragilità strutturali del Paese. Tra queste, la lentezza nella digitalizzazione, le disuguaglianze territoriali e una produttività stagnante.
Il piano punta al 39% degli investimenti per la transizione verde e al 25,6% per quella digitale. Progetti emblematici come l’implementazione di energie rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici pubblici e privati e la digitalizzazione della pubblica amministrazione rappresentano pilastri cruciali. Ma gli ostacoli burocratici e la necessità di una governance più efficiente mettono a rischio il rispetto delle scadenze, fissate per agosto 2026.
“L’Italia si conferma lo Stato membro Ue che ha ricevuto l’importo maggiore di finanziamento, pari al 63% della dotazione complessiva del Pnrr”, ha affermato Giorgia Meloni. La premier ha sottolineato come il lavoro sinergico con la Commissione europea abbia permesso di raggiungere questo traguardo, incentivando il governo a continuare su questa linea. Meloni ha ribadito che il piano non è solo un’opportunità economica, ma anche uno strumento per modernizzare il Paese, rendendolo più sostenibile e competitivo.
Verso la settima rata
Nonostante i successi, il Pnrr resta un terreno minato. La stretta tempistica imposta dalla Commissione Europea, che richiede il completamento di tutti gli obiettivi entro agosto 2026, rappresenta una sfida significativa. Foti ha già annunciato l’intenzione del governo di formalizzare entro fine anno la richiesta per la settima rata, pari a 18,3 miliardi di euro. Tuttavia, ha anche evidenziato l’importanza di monitorare costantemente il piano, adattandolo alle esigenze reali del Paese attraverso le Cabine di coordinamento presso le Prefetture e l’utilizzo della piattaforma ReGiS. Il governo dovrà dimostrare una capacità di monitoraggio più rigorosa, garantendo che le risorse vengano effettivamente tradotte in investimenti concreti. Tra le priorità emergono il rafforzamento della rete ferroviaria, la realizzazione di nuovi impianti sportivi nelle scuole e la formazione digitale per migliorare le competenze del sistema sanitario.
Tommaso Foti ha ribadito l’impegno del governo nel garantire la piena attuazione del piano. “La nostra attenzione è rivolta a individuare i necessari correttivi per rispettare i tempi previsti e per assicurare che ogni euro investito abbia un impatto tangibile sul territorio”, ha dichiarato.
Le riforme strutturali, seppur ambiziose, richiedono un’implementazione efficace e coordinata. Le sfide legate alla giustizia, alla transizione ecologica e digitale, alla lotta alla disoccupazione e alla riduzione delle disparità territoriali restano questioni centrali per garantire il successo del piano.
L’Italia non è sola in questo percorso. Con l’erogazione complessiva di 26,8 miliardi di euro a cinque Stati membri – Repubblica Ceca, Germania, Italia, Portogallo e Romania –, il Recovery and Resilience Facility (RRF) ha raggiunto un totale di oltre 300 miliardi di euro distribuiti che dimostrano l’impegno collettivo dell’Unione Europea nel promuovere transizioni verdi e digitali, rafforzando al contempo la resilienza economica e sociale. Questi fondi rappresentano uno strumento fondamentale per accelerare le transizioni verde e digitale e per rafforzare la resilienza economica e sociale dell’Unione. L’Italia, in particolare, si trova al centro di questa trasformazione, ma il successo del Pnrr dipenderà dalla capacità del governo e delle amministrazioni locali di superare inefficienze storiche e di coinvolgere attivamente il tessuto produttivo e civile.