L’Ungheria non ha risposto alla richiesta dell’Unione europea di fornire spiegazioni sulla scelta di semplificare i visti per cittadini russi e bielorussi. Scadeva il 19 agosto la possibilità di fornire spiegazioni, giorno al quale è seguito un silenzio che vale più di mille parole per il presidente Viktor Orbán.
Sin dal primo giorno dell’insediamento della leadership di turno ungherese alla Commissione europea ha dimostrato di voler intraprendere una propria linea politica ed europea personalissima. Gli incontri bilaterali tra Budapest e Mosca prima, la volontà di farsi portavoce “senza mandato” di un messaggio di pace dopo, avevano già incrinato i rapporti con l’UE. Con la (non) risposta alle richieste di chiarimenti, il quadro peggiora ulteriormente.
Confini a rischio?
All’inizio del mese di agosto, la Commissaria europea per gli Affari interni Ylva Johansson ha inviato una lettera al suo omologo ungherese, il Commissario Sandor Pinter, chiedendo al Paese spiegazioni sulle modifiche apportate al regime di immigrazione di Budapest.
La Commissione europea aveva dato al Paese di Viktor Orbán tempo fino al 19 agosto per rispondere alle crescenti preoccupazioni sulle modifiche al National Card Program. Si tratta del programma che, a partire dal primo luglio, giorno di insediamento della presidenza ungherese di turno al Consiglio dell’UE, ha esteso i Paesi ammissibili a questo programma di “lavoratori ospiti” da Serbia e Ucraina ad altri sei paesi: quattro dei Balcani occidentali (Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Moldavia), più Russia e Bielorussia, che generalmente non inviano lavoratori ospiti in Ungheria.
Con una lettera indirizzata a Ursula von der Leyen alcuni ministri degli esteri avevano espresso il proprio malcontento per il fatto che la Carta Nazionale ungherese, con le nuove semplificazioni, consentiva l’accesso alle spie russe, nonostante le limitazioni imposte dai paesi dell’UE al Paese di Vladimir Putin e l’espulsione di oltre 500 russi sospettati di spionaggio negli ultimi due anni.
“L’estensione dell’elaborazione agevolata delle domande di permesso di soggiorno e di lavoro per i cittadini di Russia e Bielorussia potrebbe portare a un’elusione di fatto delle restrizioni imposte dall’Unione “, si legge nella lettera della Commissaria Johansson.
L’area Schengen
L’area Schengen è una zona di libero movimento composta da 27 Paesi europei che hanno abolito i controlli alle frontiere interne. Questo permette ai cittadini, così come ai residenti legali e ai visitatori, di viaggiare tra i paesi membri senza dover sottoporsi a controlli di frontiera una volta entrati nell’area. I paesi Schengen hanno una politica unificata per i visti di breve durata, il che significa che un visto rilasciato da un paese Schengen consente di viaggiare in tutti gli altri paesi dell’area per 90 giorni al massimo in un periodo di 180 giorni totali.
La (non) risposta dell’Ungheria
Il ministro degli Esteri ungherese ha accusato i governi europei di aver preso di mira Budapest con una “campagna di bugie” sul programma di ingresso. L’Ungheria ha ribadito il proprio diritto all’autoregolamentazione sottolineando che il rilascio dei visti per i permessi di soggiorno è di pertinenza dei singoli Stati.
La difesa dell’area Schengen, secondo i Paesi firmatari della lettera, otto tra baltici e nordici (Danimarca, Estonia, Finlandia, Islanda, Lettonia, Lituania, Norvegia e Svezia), deve essere tutelata.
“Indipendentemente dal fatto che rientri nella competenza nazionale o dell’Unione, temiamo che questa decisione possa costituire un grave rischio per la sicurezza di tutti gli Stati membri – ha scritto il gruppo dei ministri degli Esteri, degli Interni e della Giustizia -. La risposta dell’Ungheria, la vostra analisi e i prossimi passi saranno della massima importanza per garantire la nostra sicurezza nazionale”.
Ad esprimersi prontamente è stato il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjárto, secondo il quale, “l’inclusione dei cittadini russi e bielorussi nel programma della Carta nazionale non rappresenta alcun rischio per la sicurezza dal punto di vista dell’area Schengen, poiché queste persone devono comunque sottoporsi a un controllo completo per entrare e soggiornare in Ungheria”. Una “non risposta” che conferma il pugno duro sulla questione e la mancanza di volontà di indietreggiare su una decisione che rischia di incrinare i rapporti, già in crisi, tra Orbán e l’UE.
Il 29 agosto i ministri degli esteri e della difesa europei si incontreranno a Bruxelles. Sarà quella l’occasione per discuterne? Da Budapest, per il momento, tutto tace.