Italia deferita alla Corte Ue, quanti docenti precari negli altri Paesi europei?

Il 25% dei docenti è precario contro il 5% della Germania e il 6% della Francia
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L’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per il ricorso eccessivo ai contratti a tempo determinato nel settore dell’istruzione. Secondo la Commissione Europea, l’Italia non ha preso le misure necessarie per porre fine all’abuso di contratti a termine per insegnanti e personale amministrativo (ATA), violando così la direttiva europea 1999/70/CE, che regola il lavoro temporaneo. In particolare, l’esecutivo Ue contesta la discriminazione salariale che subiscono i docenti precari, i quali non beneficiano della stessa progressione retributiva degli insegnanti di ruolo. La decisione di deferimento è arrivata dopo numerose lettere di diffida e un parere motivato emesso ad aprile 2023​.

Confronto con gli altri Paesi Ue

Il problema della precarietà nel settore educativo è particolarmente grave in Italia e in aumento. I docenti precari erano 100 mila nel 2015-16, 135 mila nel 2017-18, 212 mila nel 2020-21 e 235 mila nell’anno scolastico 2022-23, secondo i dati Tuttoscuola. Quest’anno i sindacati calcolano 250mila precari, ma per il ministero dell’Istruzione sono 160mila. La percentuale di precariato si aggira attorno al 25%: in pratica è precario un docente su quattro.

A confronto, la Germania conta solo il 5% di docenti temporanei, mentre la Francia si attesta intorno al 6%. Anche in Spagna, pur con problemi di precariato, la percentuale di docenti a termine è più bassa, intorno al 15%​.

La situazione italiana si riflette anche nell’età media di ingresso nel ruolo, che è di circa 45 anni, molto più alta rispetto alla media europea. Questa precarietà influisce negativamente sulla continuità didattica degli alunni e mina la stabilità economica e sociale degli insegnanti stessi, costretti spesso a spostarsi da una scuola all’altra per ottenere incarichi.

Le cause del precariato in Italia

Il fenomeno del precariato scolastico in Italia ha radici complesse. Tra i principali fattori vi è la mancanza di una pianificazione efficace del reclutamento degli insegnanti, che ha portato nel tempo a un utilizzo massiccio delle graduatorie a esaurimento (GAE) e delle supplenze annuali per coprire posti vacanti. Inoltre, il sistema concorsuale ha funzionato a singhiozzo, con bandi poco frequenti e irregolari, lasciando migliaia di insegnanti in attesa di stabilizzazione. Le recenti riforme, come quelle introdotte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), non hanno ancora risolto il problema, con i concorsi bloccati o rinviati .

Un altro fattore è la mancanza di risorse per l’assunzione a tempo indeterminato di un numero sufficiente di insegnanti. Questo ha costretto le scuole a ricorrere alle supplenze, soprattutto per coprire materie scientifiche e altre discipline dove la carenza di personale è più evidente. Il recente sistema di interpello per la ricerca di supplenti ha tentato di migliorare la situazione, ma non ha ancora prodotto risultati significativi.

L’Italia spende meno della media Ue in istruzione

Nonostante il contesto strutturale già complesso, per l’istruzione l’Italia spende meno rispetto agli altri Paesi Ue. In particolare, la spesa pubblica in rapporto al Pil mostra un minore impegno del nostro Paese rispetto alle maggiori economie europee. Il rapporto annuale 2023 dell’Istat certifica che, al 2021 il rapporto era:

  • 4,1% del Pil in Italia;
  • 5,2% in Francia;
  • 4,6% in Spagna;
  • 4,5% in Germania;
  • 4,8% media Ue.

Non solo i docenti, anche le strutture sono poche nonostante il calo demografico. Il Rapporto prende in esame le strutture educative per la prima infanzia (0-2 anni), uno degli ambiti di intervento del Pnrr: rispetto ai bambini residenti è pari al 28%, ancora inferiore al target europeo del 33% che bisognava raggiungere entro il 2010 e lontanissima dal nuovo target del 50% entro il 2030.

E gli edifici che resistono non se la passano benissimo. Nel 2023, il governo italiano ha stanziato in media 42.000 euro per singolo edificio scolastico, un incremento rispetto ai 36.000 euro degli ultimi cinque anni. Tuttavia, questo aumento non si è tradotto in un reale miglioramento della situazione: un report di Legambiente ha denunciato che nel Paese solo un edificio scolastico su due ha i certificati di sicurezza.
C’è poi un problema con la gestione delle risorse, altro annoso problema del Belpaese. Su una media di 42.022 euro stanziati per ogni scuola ne sono stati spesi solo 23.821 euro.

Questo problema si estende anche ad altre aree fondamentali come la digitalizzazione, i trasporti, i servizi per lo sport e l’efficientamento energetico.

Le dichiarazioni del Ministro Valditara

Il Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha detto che: “Il governo è determinato a ridurre il precariato nella scuola attraverso concorsi pubblici regolari e piani di assunzione pluriennali”. Valditara ha riconosciuto la gravità del problema e ha dichiarato che il governo sta lavorando a una riforma del sistema di reclutamento per stabilizzare un numero maggiore di insegnanti, anche attraverso l’introduzione di misure più flessibili nel PNRR. Tuttavia, ha sottolineato che “l’assunzione dei docenti deve essere regolata in modo da garantire la continuità didattica, senza penalizzare i docenti già in attesa di stabilizzazione“​.

Il Decreto Salva-Infrazioni

Il governo ha provato a fare qualcosa con il recente Decreto Salva Infrazioni che raddoppia l’indennizzo per gli insegnanti che hanno subito abusi nell’uso dei contratti a termine, prevedendo compensazioni tra 4 e 24 mensilità. Una misura che non convince sindacati e docenti precari ritengono che tali misure siano insufficienti per risolvere il problema strutturale del precariato nella scuola italiana. E non convince neanche Bruxelles.