Inflazione Eurozona, lieve risalita al 2,2%: cosa aspettarci?

La Bce mantiene un approccio prudente, monitorando salari e mercato del lavoro nell'attuale contesto inflazionistico
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Christine Lagarde Presidente Bce
Christine Lagarde, presidente della Bce (Afp)

L’inflazione dell’area euro torna a puntare leggermente verso l’alto, attestandosi al 2,2% in novembre secondo la stima flash di Eurostat. Il dato, pur marginale, interrompe una sequenza di rallentamenti e conferma che il percorso verso la stabilità dei prezzi non procede in modo lineare. L’indice rivela una composizione eterogenea: i servizi salgono al 3,5%, mentre alimentari, alcol e tabacco restano al 2,5%. I beni industriali non energetici segnano uno 0,6% stabile e l’energia rimane in territorio negativo, a -0,5%. La componente al netto degli elementi più volatili si attesta al 2,4%, valore ritenuto compatibile con l’obiettivo di medio termine della politica monetaria.

Davanti alla commissione Econ del Parlamento europeo, la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde ha sintetizzato il quadro con parole misurate: “L’inflazione rimane vicina al nostro obiettivo del 2%. L’aumento registrato a novembre riflette la dinamica dei servizi e dell’energia. L’inflazione esclusi energia e alimentari si mantiene al 2,4% e gli indicatori dell’inflazione sottostante restano coerenti con il nostro obiettivo di medio periodo”. La presidente ha poi chiarito che la Bce manterrà un atteggiamento prudente: “Continuiamo a seguire un approccio dipendente dai dati, riunione per riunione. Le decisioni sui tassi dipenderanno dalle prospettive dell’inflazione e dai rischi che le circondano, così come sulle dinamiche dell’inflazione sottostante e sulla forza della trasmissione della politica monetaria”. Da qui deriva la scelta di mantenere il ciclo dei tassi in pausa: la BCE intende sfruttare un’inflazione ormai prossima al target per monitorare con attenzione le variabili interne, in primo luogo salari e mercato del lavoro, evitando interventi prematuri che potrebbero compromettere la traiettoria di rientro consolidata nell’ultimo anno.  

Dove si concentra la pressione interna

La dinamica retributiva è uno dei fattori centrali che spiegano l’attuale struttura dell’inflazione. Nelle audizioni autunnali, Lagarde ha indicato il rallentamento dei salari nominali come uno dei principali motori della disinflazione in corso, ricordando come le retribuzioni reali abbiano recuperato i livelli antecedenti la fiammata dei prezzi. Il raffreddamento della crescita salariale riduce la pressione su imprese e servizi, ma produce effetti differenziati all’interno dei Paesi membri, soprattutto dove i redditi medi rimangono inferiori alla media europea.

In Italia la questione emerge con particolare evidenza: la moderazione delle dinamiche retributive, combinata con costi dei servizi che continuano a muoversi più velocemente dei salari, limita la capacità delle famiglie di percepire immediatamente i benefici del rientro dell’inflazione. Le proiezioni dello staff Bce diffuse a settembre descrivono un percorso di stabilizzazione graduale, con l’inflazione complessiva attesa al 2,1% nel 2025, 1,7% nel 2026 e 1,9% nel 2027; l’indice al netto di energia e alimentari è previsto al 2,4% nel 2025, in calo all’1,9% nel 2026 e all’1,8% nel 2027. Pur ritenendo concluso il processo disinflazionistico, la banca centrale richiama i rischi di medio periodo legati a tariffe, transizione energetica e tensioni geopolitiche. Ne deriva un quadro in cui la stabilità dei prezzi non coincide automaticamente con un miglioramento uniforme delle variabili reali: il tema non è più se l’inflazione sia sotto controllo, ma come il peso dell’aggiustamento venga ripartito tra lavoratori, imprese e bilanci pubblici, con implicazioni dirette sui margini di politica economica dei governi nazionali.

Effetti oltre l’inflazione

I dati Eurostat relativi a ottobre confermano una dinamica industriale complessivamente debole. Nell’Eurozona i prezzi alla produzione aumentano dello 0,1% rispetto a settembre ma restano in calo dello 0,5% su base annua, riflettendo una combinazione di fattori: crescita moderata dei beni strumentali (+1,7%) e dei beni di consumo durevoli e non durevoli (tra +1,4% e +1,5%), stabilità nei beni intermedi e una forte contrazione dell’energia (–3,9%). Per l’Italia il quadro è ancora più attenuato: l’indice mensile registra –0,2% per il totale mercato (–0,4% sul solo mercato interno) e un aumento annuo dello 0,1%. La riduzione dei costi energetici non si è tradotta in un rafforzamento della manifattura, che resta condizionata da una domanda interna debole e da una concorrenza esterna incisiva.

 Sul fronte occupazionale, l’Eurozona mostra una disoccupazione al 6,4%, stabile su settembre ma superiore al 6,3% di un anno prima; l’Italia si colloca al 6%, con un miglioramento per le donne (6,4%) e una stabilità per gli uomini (5,6%). Il dato più critico resta la disoccupazione giovanile, pari al 14,8% nell’Eurozona e al 19,8% in Italia, nonostante il calo rispetto ai mesi precedenti. Questo insieme di elementi -PPI debole, occupazione segmentata, redditi che crescono lentamente- delinea un margine operativo ristretto per la politica economica: la stabilità dei prezzi non scioglie la pressione sulle variabili che incidono direttamente sul potere d’acquisto, e l’effetto complessivo della politica monetaria si misura in un contesto dove i nodi strutturali rimangono intatti.

La spinta europea sul risparmio

La fase attuale apre uno spazio nuovo per il risparmio privato, che entra stabilmente nel perimetro delle politiche strategiche europee. Il 19 marzo 2025 la Commissione ha presentato la strategia per la Savings and Investments Union, un progetto concepito per collegare più efficacemente il risparmio delle famiglie agli investimenti ritenuti essenziali per competitività, autonomia strategica e transizione energetica. L’iniziativa mira a mobilitare una parte dei circa 10.000 miliardi di euro accumulati nei depositi dell’Eurozona, oggi parcheggiati in strumenti a bassa remunerazione.

Il passo successivo è arrivato il 30 settembre, con la Raccomandazione (UE) 2025/2029 sui nuovi Savings and Investment Accounts, conti pensati per affiancare quelli tradizionali e rendere più semplice l’accesso a investimenti elementari, attraverso versamenti minimi contenuti, costi trasparenti e possibili incentivi fiscali gestiti dai singoli Stati membri.

La Bce collega esplicitamente il completamento dell’Unione del risparmio al rafforzamento del ruolo internazionale dell’euro, richiamando la necessità di mercati dei capitali più profondi per sostenere una moneta unica esposta a scosse geopolitiche crescenti. Per l’Italia, dove la propensione al risparmio è elevata ma concentrata su strumenti liquidi e poco rischiosi, questa evoluzione apre un fronte delicato: trasformare la liquidità in capitale produttivo senza compromettere la fiducia dei cittadini. La stabilità dei prezzi offre un punto di partenza favorevole, ma i divari interni tra redditi, territori e capacità di investimento renderanno questo passaggio uno dei temi centrali dei prossimi anni.

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