Con Giorgia Meloni, “l’Italia ha un primo ministro che è probabilmente il più antiabortista dell’Europa occidentale”. Inizia così un articolo dell’agenzia di stampa Reuters che racconta una storia accaduta in Italia, quella di Linda Feki, music designer, che ha deciso di parlare della sua esperienza di aborto nel nostro Paese, per la precisione a Napoli.
Si tratta di una storia che vede protagoniste, però, molte altre donne provenienti da tutta Italia e che è fatta spesso di stigmatizzazione, mancanza di aiuto diretto da parte del personale sanitario, così come obiezioni sulla scelta. Perché, anche se la legge 194 del 1978 legalizzi l’aborto, non c’è garanzia della sua applicazione e spesso godere di questo diritto diviene un’impresa.
Ma la nostra premier è davvero la più antiabortista d’Europa?
Giorgia Meloni e l’aborto
Giorgia Meloni è notoriamente un primo ministro conservatore e personalmente antiaborto. Nel corso della sua legislatura ha adottato misure che consentissero a gruppi pro-vita di entrare nelle cliniche di aborto per “supportare” le donne in difficoltà. La destra italiana ha poi proposto un “reddito maternità” per le donne che ne avessero bisogno: circa mille euro per i primi cinque anni di vita del bambino.
E anche se pare non abbia intenzione di abolire la legge sull’aborto del 1978, la sua amministrazione cerca di incentivare la natalità promuovendo un modello in cui l’aborto dovrebbe essere, solo ed esclusivamente, l’ultima possibilità (mai la prima).
Un caso che suscitò scalpore, forse più all’estero che in Italia, infine, è stata la rimozione di un riferimento all’aborto sicuro e legale da dichiarazioni ufficiali nell’incontro del G7. Fatto, questo, ampiamente criticato da Francia e Germania.
Anche se tutto ciò colloca il governo nazionale in una posizione che possa definirsi antiabortista, non è Giorgia Meloni la premier che più in Europa sostiene questa linea di pensiero. Vediamo il perché.
Gli altri premier d’Europa sull’aborto
In Italia esiste la Legge sull’Aborto. Nata nel 1978 (Legge 194) legalizza l’aborto fino al terzo mese di gravidanza e anche successivamente se la salute fisica o mentale della madre è a rischio. Tuttavia, ci sono ostacoli pratici significativi come il gran numero di ginecologi obiettori di coscienza. Si stima che in Italia siano circa il 63% dei ginecologi a livello nazionale e rifiutano di eseguire aborti per motivi etici.
Un quadro peggiore, però, è presente in Polonia. La Polonia ha alcune delle leggi sull’aborto più restrittive in Europa. Sono solo tre i casi che consentivano l’aborto: quando la gravidanza è il risultato di uno stupro o incesto, quando la vita o la salute della madre è in pericolo, o quando il feto ha gravi anomalie. Nel 2020, una sentenza della Corte costituzionale ha ulteriormente limitato l’accesso all’aborto in caso di malformazioni fetali, rendendo quest’ultima possibilità incostituzionale.
Il governo polacco è stato fino a pochi mesi fa guidato dal partito Legge e Giustizia (PiS), noto per la sua posizione conservatrice supportata da una buona parte di società legata alla Chiesa cattolica. In questi anni migliaia di persone hanno manifestato in piazza per il diritto di scelta delle donne. Le prime mosse della nuova maggioranza guidata da Donald Tusk non sembrano in grado di cambiare la situazione: la proposta di legge per la legalizzazione dell’aborto nel Paese non ha superato la prova della coalizione di governo ed è stata bocciata con 218 voti contro, 215 a favore e due astensioni.
Spostandoci più a sud dell’Italia, invece, è a Malta che ci sono leggi più restrittive sull’aborto. L’aborto è vietato in quasi tutte le circostanze. Le violazioni possono portare a pene detentive per le donne e per i medici.
Ma ad aggiudicarsi il podio del premier più antiabortista d’Europa, però, è Viktor Orbán. Il primo ministro ungherese è quello europeo che più esplicitamente promuove politiche e posizioni al riguardo. Nonostante la posizione personale e politica del premier, in Ungheria resta legale fino alla 12esima settimana di gravidanza. Dopo questo termine, è permesso in casi specifici come seri rischi per la salute della madre o gravi anomalie fetali. La legge impone un periodo di riflessione di tre giorni dopo la consultazione medica.
In Spagna e Francia, invece, l’aborto è legale fino alla 14esma settimana di gravidanza e oltre in casi di problemi per la salute della madre o del feto. Inoltre, la Francia ha un sistema di assistenza sanitaria ben sviluppato che supporta l’accesso all’aborto e promuove i diritti delle donne. Il governo francese ha recentemente reso l’aborto un diritto costituzionale.