Russia-Ucraina, secondo round a Istanbul: colloqui dopo il raid ucraino su basi strategiche

Nel giorno successivo a uno degli attacchi più audaci della guerra, le delegazioni tornano a incontrarsi in Turchia. Mosca rifiuta la tregua di Kiev ma lascia aperta una finestra negoziale
2 giorni fa
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Turkey Russia Ukraine Diplomacy Conflict
I membri delle delegazioni ucraina (a destra), russa (a sinistra) e turca (al centro) partecipano al secondo incontro a Istanbul (Afp)

La diplomazia è tornata a Istanbul, appena un giorno dopo uno degli episodi militari più clamorosi dall’inizio della guerra. Il 2 giugno, sul Bosforo, Russia e Ucraina si sono sedute di nuovo allo stesso tavolo. Un incontro breve ma carico di implicazioni, non solo per i contenuti discussi, ma per il contesto che lo ha preceduto. La mattina del 1° giugno, infatti, l’Ucraina ha lanciato un attacco senza precedenti su suolo russo: 117 droni ucraini hanno colpito quattro basi strategiche nel cuore del territorio russo, distruggendo – secondo Kiev – 43 aerei, tra cui alcuni dei bombardieri a lungo raggio più avanzati del Cremlino. È stata una delle operazioni militari più complesse e audaci dell’intero conflitto.

Eppure, mentre si contavano i danni e le reazioni, Russia e Ucraina hanno rispettato l’appuntamento previsto da giorni: un nuovo round di colloqui a Istanbul, a distanza di poco più di due settimane dal primo incontro del 15 maggio.

È durato solo un’ora, ma non si è chiuso con un fallimento totale. La tregua di 30 giorni proposta da Kiev è stata respinta, ma Mosca ha rilanciato con un’ipotesi di cessate il fuoco “a scacchiera” lungo alcune zone del fronte. Un’apertura parziale che, seppur lontana dalla richiesta ucraina, ha lasciato aperta la porta a nuovi incontri. Il prossimo è previsto tra il 29 e il 30 giugno.

L’operazione “Web” e il ridisegno degli equilibri militari

L’operazione ucraina “Web” ha portato la guerra in Russia come mai prima d’ora. Per oltre 18 mesi, il piano è stato preparato in silenzio dal Servizio di sicurezza ucraino (SBU) guidato da Vasyl Malyuk, con la supervisione diretta del presidente Volodymyr Zelensky: 117 droni FPV sono stati lanciati da camion camuffati e distribuiti su quattro regioni russe, in tre fusi orari distinti.

Le basi colpite – Belaya, Dyagilevo, Ivanovo e Olenya – ospitavano assetti fondamentali per la proiezione strategica di Mosca. Tra gli aerei colpiti figurano TU-95, TU-22M3 e un A-50, mezzi impiegati nel lancio di missili da crociera e nella sorveglianza radar. Le perdite – secondo fonti ucraine – rappresentano oltre un terzo dell’intera flotta capace di compiere attacchi a lungo raggio.

Mosca ha ammesso l’attacco, parlando però di danni limitati e senza fornire numeri ufficiali. Ma il quadro che emerge da fonti indipendenti suggerisce un colpo pesante: non solo per l’aspetto tattico, ma per le implicazioni strategiche. In un contesto in cui la Russia ha sempre meno mezzi da ricondizionare e una capacità produttiva limitata, la perdita di piattaforme come i TU-95 non è facilmente reversibile.

Cosa si sono detti a Istanbul

L’incontro del 2 giugno si è tenuto presso la sede del ministero degli Esteri turco a Istanbul. A guidare la delegazione ucraina c’era il ministro della Difesa Rustem Umerov, mentre la parte russa era rappresentata da Vladimir Medinsky, ex ministro della Cultura e oggi consigliere del presidente Putin, il tutto sotto la supervisione del ministro degli Esteri turco Hakan Fidan.

La proposta di Kiev per una tregua immediata di 30 giorni su tutto il fronte è stata respinta. In cambio, Mosca ha avanzato l’ipotesi di un cessate il fuoco “a zone” e “a tempo”, limitato ad alcune aree del fronte per 48-72 ore. Secondo Medinsky, questo servirebbe innanzitutto a facilitare il recupero dei corpi dei soldati caduti. Una mossa che, pur parziale, indica l’esistenza di un margine di dialogo, seppur minimo, in un momento in cui le armi continuano a parlare.

L’unico accordo concreto è arrivato sul piano umanitario. Le due parti hanno concordato un nuovo scambio di prigionieri: tutti i soldati gravemente malati, e quelli sotto i 25 anni, saranno liberati. Prevista anche la restituzione reciproca dei corpi di seimila soldati. Inoltre, Kiev ha consegnato una lista con i nomi di 339 bambini deportati in Russia. Mosca si è impegnata a “esaminare ogni caso singolarmente”.

Umerov ha definito l’incontro “necessario ma ancora interlocutorio”. Kiev prende tempo per analizzare il memorandum presentato dai russi, che contiene condizioni giudicate “non accettabili” da gran parte della leadership ucraina: ritiro da Donetsk, Lugansk, Zaporizhia e Kherson, fine della mobilitazione, neutralità permanente, e lo stop a qualsiasi presenza militare straniera in Ucraina.

Il memorandum russo e la lunga lista delle condizioni

Nel corso dell’incontro, la delegazione russa ha consegnato ai rappresentanti ucraini un memorandum articolato, contenente le condizioni che Mosca considera “fondamentali” per un eventuale cessate il fuoco duraturo. I punti principali sono noti: ritiro delle truppe ucraine dalle quattro regioni parzialmente occupate (Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia, Kherson), neutralità permanente di Kiev, stop alla mobilitazione, fine delle forniture militari occidentali, ripristino della Chiesa ortodossa russa, e persino l’indizione di elezioni presidenziali in Ucraina entro 100 giorni dalla cessazione della legge marziale.

In cambio, Mosca si dice disposta a considerare la revoca progressiva delle sanzioni, la rinuncia a ulteriori attacchi e la ricostruzione delle relazioni economiche. Kiev ha preso tempo, dichiarando attraverso il portavoce del ministero degli Esteri Heorhii Tykhyi che sarà necessario un approfondito esame del testo prima di fornire una risposta.

L’iniziativa turca e il ruolo (ipotetico) di Trump

Se i negoziati diretti restano difficili, cresce il ruolo della Turchia come facilitatore. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha colto l’occasione per rilanciare il suo progetto diplomatico più ambizioso: organizzare un vertice trilaterale tra Zelensky, Putin e Donald Trump, da tenersi a Istanbul o ad Ankara. Una proposta che sembra guardare più al futuro che all’immediato, ma che testimonia il protagonismo turco nella gestione dei dossier eurasiatici. “Il mio più grande desiderio – ha dichiarato Erdogan – è riunire i leader qui, in Turchia, per un passo concreto verso la pace”.

Da parte americana, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha riferito che il presidente Trump “è aperto all’idea”, ma solo se entrambi i leader dimostreranno reale volontà negoziale. Kiev ha accolto favorevolmente la prospettiva, nella convinzione che la presenza americana possa aumentare la pressione su Mosca. Zelensky, del resto, ha ribadito più volte la necessità di sanzioni più dure qualora i colloqui dovessero naufragare.

Per ora, però, non ci sono date. Non ci sono inviti formali. Solo un’ipotesi che si inserisce in un quadro ancora instabile, in cui ogni passo dipende dall’evoluzione militare sul terreno.