Perché la Cina protesta con l’Ue per il discorso della vicepresidente di Taiwan?

Scontro diplomatico a Bruxelles
2 ore fa
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La vicepresidente di Taiwan, Hsiao Bi-khim (Ipa/Fotogramma)
La vicepresidente di Taiwan, Hsiao Bi-khim (Ipa/Fotogramma)

Un incidente diplomatico potrebbe incrinare i rapporti tra Unione europea e Cina. Si tratta del discorso a sorpresa della vicepresidente di Taiwan, Hsiao Bi-khim, tenutosi la scorsa settimana al Parlamento europeo. L’intervento della vicepresidente di Taiwan, durante l’evento organizzato dall’Alleanza interparlamentare sulla Cina (Ipac), ha segnato un momento storico: è stata la prima volta che un alto rappresentante del governo taiwanese partecipasse attivamente, prendendo parola, in un parlamento di un altro Stato. E la cosa sembra non essere proprio piaciuta a Pechino.

Cos’è successo tra Ue-Cina e Taiwan?

Hsiao Bi-khim, vicepresidente di Taiwan, è intervenuta a Bruxelles in un incontro promosso da Ipac, la rete internazionale di parlamentari impegnati nel contrastare l’influenza autoritaria di Pechino. Il suo discorso, mantenuto segreto fino all’ultimo, tesseva le lodi all’Unione europea per il sostegno ai valori democratici dimostrati all’Isola e chiedeva un rafforzamento dei legami economici e di sicurezza tra Bruxelles e Taipei.

I diplomatici cinesi dell’Ue hanno diffuso successivamente una nota di protesta durissima, accusando l’Unione di aver violato il principio della “Unica Cina”, che considera Taiwan parte integrante del territorio cinese. Pechino ha definito l’episodio una “grave interferenza negli affari interni” e una minaccia alla fiducia politica reciproca.

La reazione di Pechino si fonda su un principio cardine della sua politica estera: il riconoscimento della “One China Policy”. Secondo questa dottrina, Taiwan farebbe parte della Cina e nessun altro Stato o organizzazione dovrebbe intrattenere relazioni ufficiali con l’Isola, senza l’intermediazione del Dragone. L’invito a Hsiao Bi-khim, sebbene non rivolto formalmente dall’intero Parlamento europeo, è stato percepito da Pechino come una legittimazione politica di Taipei sulla scena internazionale.

Taiwan, il “non-Stato” cinese

La crisi tra Cina e Taiwan affonda le radici nella guerra civile cinese del 1949. Il governo nazionalista si rifugiò a Tapei dopo la vittoria comunista sul continente; da allora, Pechino considera l’Isola una provincia ribelle da riunificare, anche con la forza se necessario.

Taiwan, dal canto suo, si autogoverna come una democrazia indipendente, pur non essendo riconosciuta ufficialmente dalla maggior parte dei Paesi, che temono ritorsioni diplomatiche dalla Cina. Negli ultimi anni, le tensioni si sono intensificate a causa delle esercitazioni militari cinesi attorno all’isola, della retorica sempre più aggressiva di Pechino e del crescente sostegno internazionale a Taipei.

La posta in gioco è altissima: Taiwan rappresenta un hub tecnologico non di poco conto. Negli anni ha occupato un punto strategico nel Pacifico. Ogni gesto simbolico o militare da parte della Cina rischia di trasformarsi in un’escalation con conseguenze globali.

L’Unione europea non riconosce ufficialmente Taiwan come Stato sovrano, ma mantiene con l’isola relazioni economiche, culturali e tecnologiche. Negli ultimi anni, Bruxelles ha espresso crescente preoccupazione per le pressioni militari e diplomatiche esercitate da Pechino sullo Stretto di Formosa, e ha mostrato maggiore apertura verso Taipei, soprattutto in ambito commerciale e nella difesa dei diritti umani.

Taiwan, da parte sua, cerca da tempo di rafforzare i legami con le democrazie occidentali, presentandosi come esempio della libertà in Asia orientale. Il discorso di Hsiao si inserisce in questa strategia, sottolineando l’importanza della cooperazione tra democrazie in un contesto globale sempre più instabile.

Uno scontro destinato a durare?

L’episodio ha riacceso le tensioni tra Bruxelles e Pechino, già provate da divergenze su commercio e sicurezza. La Cina ha chiesto all’Ue di “correggere l’errore” e di evitare ulteriori “provocazioni”. L’Unione, ribadendo di rispettare il principio di un’Unica Cina, non sembra intenzionata a fare retromarcia nella difesa della libertà di espressione dei suoi parlamentari e del proprio diritto di dialogare su questioni commerciali e tecnologiche con le altre realtà democratiche: Taiwan inclusa.