Mancano meno di 48 ore all’entrata della Bulgaria nell’eurozona, che diventa così il ventunesimo Paese dell’Unione europea ad adottare la moneta unica. Si tratta di un passaggio storico, atteso da anni e sostenuto dalle istituzioni europee, ma che nel Paese continua a suscitare opinioni contrastanti.
L’adozione dell’euro arriva infatti in un contesto politico ed economico complesso, segnato da incertezze interne e da una popolazione divisa tra aspettative di crescita e timori per il futuro.
Un percorso lungo e un cambio già ancorato all’euro
La Bulgaria è membro dell’Ue dal 2007 e da tempo mantiene un regime di currency board, un sistema monetario rigido dove una valuta nazionale è agganciata a una valuta estera stabile (appunto, l’euro) con un tasso di cambio fisso per il “lev”, la valuta bulgara. Questo significa che, pur non avendo ancora adottato la moneta unica, la politica monetaria bulgara è già fortemente allineata a quella della Banca centrale europea (Bce).
Con l’ingresso nell’eurozona, il cambio fisso diventerà definitivo e il lev sarà ritirato gradualmente dalla circolazione. Secondo le decisioni approvate dal Consiglio dell’Ue, il tasso di conversione irrevocabile sarà fissato a 1 euro per 1,95583 lev, lo stesso rapporto utilizzato negli ultimi anni.
Favorevoli a “stabilità e integrazione”
I sostenitori dell’entrata dell’euro nel Paese vedono nel passaggio alla moneta unica un’opportunità per rafforzare la stabilità economica del Paese. L’eliminazione del rischio di cambio, già ridotto dal currency board, dovrebbe favorire gli investimenti esteri e semplificare gli scambi commerciali. Le istituzioni europee sottolineano inoltre che l’ingresso nell’eurozona può contribuire a creare nuovi posti di lavoro e a migliorare la qualità dei redditi reali, grazie a una maggiore integrazione nei mercati europei.
Per molti osservatori, l’adozione dell’euro rappresenta anche un segnale politico: un ulteriore passo verso un ancoraggio più solido all’Occidente, in un momento in cui la regione è attraversata da tensioni geopolitiche.
Il Paese è stato travolto, infatti, da una nuova crisi politica dopo le dimissioni del premier Rosen Zhelyazkov, lo scorso 11 dicembre. Le proteste di massa contro corruzione e aumento del costo della vita hanno scosso una coalizione già fragile. L’oligarca Delyan Peevski è il bersaglio principale dei manifestanti, che ne hanno denunciato il controllo delle istituzioni. Sullo sfondo emerge il presidente Rumen Radev, ago della bilancia politica.
Le preoccupazioni dei contrari
Una parte significativa della popolazione bulgara guarda al passaggio all’euro con scetticismo. Diversi sondaggi indicano che circa metà dei cittadini (il 46,8%) teme un aumento dei prezzi, un fenomeno percepito anche in altri Paesi al momento dell’introduzione della moneta unica. Complice del parere sfavorevole c’è l’offensiva dei partiti nazionalisti, che hanno trasformato l’euro in un bersaglio.
Il presidente bulgaro Rumen Radev ha spinto per svolgere un referendum nel Paese, bloccato poi dalla Corte costituzionale perché “incompatibile con gli impegni assunti con l’Unione europea”. E diverse campagne pro-Russia hanno contribuito a indebolire il consenso pro-euro in uno dei Paesi più fragili dell’Unione.
A pesare è anche la memoria dell’iperinflazione degli anni Novanta, un periodo che ha lasciato un segno profondo nella società bulgara. Inoltre, la diffusa sfiducia nelle istituzioni e il clima politico instabile alimentano il timore che la transizione non venga gestita in modo trasparente.
Un Paese diviso davanti a una scelta irreversibile
L’ingresso nell’eurozona avviene mentre la Bulgaria affronta le proteste. Tuttavia, il passaggio all’euro è ormai definito e rappresenta una svolta irreversibile nel percorso europeo del Paese. Così, dal 1° gennaio 2026 partirà una fase di doppia circolazione delle due monete che potranno essere usate insieme. Dal 1° febbraio l’euro diventerà l’unica valuta accettata nei pagamenti.
La sfida principale sarà accompagnare i cittadini in questa transizione, garantendo controlli sui prezzi, informazione chiara e misure di tutela per i redditi più bassi. Solo così l’euro potrà diventare non solo una scelta istituzionale, ma un’opportunità condivisa.
