Parigi, prove di tregua tra Ue e Usa sui dazi

L’Ocse fa da sfondo al primo faccia a faccia operativo tra Šefčovič e Greer: nessun proclama, ma l’intesa resta tutta da costruire
2 giorni fa
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Puzzle Usa Ue

Il Commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič, e il Rappresentante statunitense Jamieson Greer si sono incontrati a Parigi, sullo sfondo del Ministerial Council dell’Ocse. Šefčovič, in un post su X, ha parlato di “discussione produttiva e costruttiva”, affermando che le due parti stanno “avanzando nella direzione giusta con buon ritmo”. Il tono è volutamente sobrio, in linea con l’approccio che la Commissione europea ha scelto fin dall’inizio di questa fase negoziale: lasciare che a parlare siano i contatti, non gli annunci.

La posta in gioco è chiara: evitare una nuova escalation tariffaria tra Unione europea e Stati Uniti, che scatterebbe automaticamente il 9 luglio con il raddoppio dei dazi americani su una lunga lista di prodotti europei, già approvato e solo sospeso. Intanto, la stretta è già cominciata: da oggi sono entrati in vigore i nuovi dazi al 50% su acciaio e alluminio, firmati da Donald Trump con ordine esecutivo. Bruxelles, per ora, prende tempo. Ma avverte: le contromisure sono pronte, il pacchetto di ritorsione è aggiornato, e se il confronto fallirà, sarà attivato. In questo quadro, il faccia a faccia odierno ha rappresentato un momento chiave per sondare le intenzioni americane e testare la possibilità di un accordo tecnico nelle prossime settimane.

Il confronto, però, resta asimmetrico. Washington chiede concessioni su temi dove l’Ue non intende arretrare: standard sanitari, regime Iva, aperture unilaterali su settori regolati. Dall’altra parte, l’Europa spinge per la rimozione reciproca dei dazi, con l’obiettivo minimo di fissare una soglia comune intorno al 10%. A Bruxelles si evita ogni sovraesposizione, ma il calendario è serrato: dopo Parigi, le prossime occasioni utili saranno il G7 in Canada e il Consiglio europeo di fine giugno.

La linea pragmatica dell’Ue

Da Bruxelles non arrivano proclami. Né Ursula von der Leyen né i suoi commissari vogliono alimentare aspettative che rischiano di essere disattese. La strategia è fatta di discrezione, consultazioni tecniche e pressioni indirette. È in questo quadro che va letto anche il faccia a faccia di oggi tra Šefčovič e Greer: a margine, non sul palco principale dell’Ocse. L’obiettivo è lavorare nel concreto, evitando interferenze politiche e mediatiche. Perché, se un’intesa può maturare, lo farà dietro porte chiuse, con l’aiuto dei team tecnici a Washington e Bruxelles che, come confermato dal portavoce Olof Gill, sono già all’opera da giorni.

La cautela, tuttavia, non significa passività. Nelle ultime settimane la Commissione ha chiesto ai grandi gruppi industriali europei di fornire dati aggiornati sugli investimenti negli Stati Uniti. Una mossa doppia: da un lato mostrare a Washington quanto capitale europeo sia già impegnato sul territorio americano – e dunque quanto ci sia da perdere in caso di ritorsioni; dall’altro, rafforzare il fronte interno, mostrando agli Stati membri che Bruxelles si muove per difendere gli interessi strategici dell’industria continentale. È una diplomazia silenziosa che serve anche a compensare il rischio principale che pesa sull’intero processo: l’imprevedibilità di Donald Trump.

Dall’inizio della sua seconda presidenza, il tycoon ha alternato aperture tattiche a colpi di tariffa improvvisi. La telefonata con von der Leyen è stata accolta con favore, ma nella stessa settimana Trump ha firmato il raddoppio dei dazi. E mentre su Truth si è detto “felice” della riattivazione dei contatti con l’Ue, ha continuato a spingere per un’apertura unilaterale dei mercati europei ai prodotti americani. Per Bruxelles, l’unico modo per reggere questa pressione è mantenere la trattativa fuori dai riflettori, puntando tutto sul pragmatismo. E oggi, a Parigi, è stato fatto il primo passo. Piccolo, ma strategico.

Dove si gioca la vera partita sui dazi

Il calendario gioca contro. La pausa negoziale concessa da Trump a marzo – un moratorium tariffario de facto – scadrà tra poche settimane. Se entro il 9 luglio non sarà siglato un accordo, scatteranno nuovi dazi su una serie di prodotti europei, con conseguenze potenzialmente gravi per l’export e le catene del valore. Per questo, l’Ue sta definendo una roadmap operativa in tre tappe. Dopo Parigi, il prossimo passaggio è il G7 in Canada, dove saranno presenti sia Ursula von der Leyen che il presidente americano. Un eventuale incontro a margine, se supportato da progressi tecnici, potrebbe sbloccare il tavolo politico. La seconda finestra è rappresentata dal vertice Nato del 24-25 giugno all’Aja: lì si discuteranno impegni europei in materia di difesa, altro tema caro a Washington e potenziale leva di scambio per ottenere allentamenti tariffari. Infine, il Consiglio europeo del 26-27 giugno potrebbe essere la sede per un mandato formale all’esecutivo Ue, in vista di un possibile accordo di compromesso.

La Commissione vuole arrivare preparata. Il lavoro che Sefcovic sta conducendo – oggi a Parigi, domani nei corridoi di Bruxelles – serve proprio a questo. Ma le incognite restano enormi. Il contesto globale è fragile, e l’Unione non può permettersi di farsi trascinare in una guerra commerciale proprio mentre cerca di rilanciare la sua competitività industriale e affrontare la transizione verde.

La stessa Ocse, durante la plenaria ministeriale, ha ribadito la centralità del “commercio basato su regole” per una crescita “resiliente e sostenibile”. Ma quando al tavolo ci sono Washington e Bruxelles, le regole diventano variabili negoziali. La partita si giocherà tutta nelle prossime quattro settimane.

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