L’Europa alla sfida delle Dpi, le infrastrutture digitali pubbliche: la spinta per l’Eurostack nel nuovo rapporto Ceps

L'Italia, una volta tanto, ha una posizione di vantaggio grazie allo sviluppo di Spid, Io e PagoPa
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Negli ultimi anni, il dibattito sull’innovazione digitale ha assunto un ruolo cruciale nelle strategie politiche di molti Paesi. Fra gli elementi cardine di questa trasformazione troviamo le Digital Public Infrastructures (Dpi), ossia quelle infrastrutture digitali aperte e interoperabili, spesso basate su standard condivisi, che forniscono servizi fondamentali per la collettività. Proprio oggi il Ceps, think tank con 40 anni di storia a Bruxelles, ha pubblicato il rapporto “Building the European Digital Public Infrastructure: Rationale, Options, and Roadmap”, in cui approfondisce questo tema, tracciando un quadro dei progressi compiuti in Europa e delineando le sfide dei prossimi anni. L’obiettivo finale? Creare un vero e proprio “Eurostack”, una “pila” tecnologica comune che garantisca sovranità digitale, competitività globale e, soprattutto, servizi pubblici di nuova generazione.

Cos’è una Dpi e perché se ne parla tanto?
Una Digital Public Infrastructure è, in estrema sintesi, uno “strato” digitale indispensabile affinché governi, imprese e cittadini possano operare in modo connesso, sicuro e inclusivo. In altre parole, è ciò che abilita servizi online affidabili su larga scala: identità digitale, pagamenti istantanei, interoperabilità fra banche dati, piattaforme di scambio di dati sanitari o industriali, e così via. Un modello molto citato è “IndiaStack”, l’insieme di soluzioni con cui l’India ha rivoluzionato servizi bancari, welfare, pagamenti e identità su una piattaforma aperta, seppur con alcune criticità in termini di protezione dei dati. A livello sudamericano, si parla molto di Pix, il sistema di pagamenti istantanei promosso dal Brasile. Entrambi gli esempi mostrano come le Dpi possano ridurre i costi, favorire l’inclusione e semplificare radicalmente la burocrazia.

Il “caso Europa”
L’Unione Europea punta a un modello di Dpi capace di tutelare i valori fondanti dell’ordinamento comunitario — tutela dei dati personali, concorrenza e trasparenza — e al contempo di sostenere la trasformazione digitale degli Stati membri. Il rapporto, firmato da Camille Ford, Marta Dell’Aquila, Olesya Grabova, Iris Muñoz e Andrea Renda, sottolinea come, finora, si siano sviluppate molte iniziative nazionali: dall’X-Road dell’Estonia (una piattaforma aperta per lo scambio di dati fra amministrazioni e settore privato) al piano di trasformazione digitale tedesco, fino ai progetti sulla digital identity in Francia, Spagna o Italia.

Il nostro paese è, una volta tanto, particolarmente avanzato: da anni ha intrapreso un percorso di trasformazione digitale che punta a creare un ecosistema di servizi pubblici più accessibili e integrati, con alcune iniziative di rilievo in ambito Dpi. Tra queste spiccano Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e la Carta d’Identità Elettronica (Cie), i due strumenti chiave per l’autenticazione online dei cittadini; l’Anpr (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente), che unifica le banche dati anagrafiche in un registro centralizzato; PagoPa, la piattaforma che semplifica i pagamenti verso la Pubblica Amministrazione; e l’app Io, sportello unico digitale per numerosi servizi (dai bonus ai tributi). Negli ultimi anni si è aperto anche il dibattito sull’uso di soluzioni open source, come l’apertura di un Open Source Program Office (Ospo), il cui scopo è incoraggiare l’adozione di software a codice aperto nelle Pa. Tali progetti sono spinti anche dagli investimenti del Pnrr, che dedica fondi e risorse per potenziare le infrastrutture cloud, promuovere la transizione digitale e rendere più capillari i servizi pubblici online.

Tuttavia, manca ancora un’integrazione pienamente armonizzata a livello continentale.

Proprio qui entra in gioco il concetto di “Eurostack”: un insieme di layer tecnologici — dall’identità digitale ai pagamenti, dai servizi cloud federati ai sistemi di scambio dati — che possa fungere da riferimento comune, replicabile e scalabile in tutti i Paesi membri. L’idea è di creare una piattaforma interoperabile che comprenda sia soluzioni governative (per esempio, documenti digitali o portali unificati di e-government) sia infrastrutture condivise dal settore privato (come servizi bancari, marketplace, e così via), sempre nel rispetto di regole comuni.

Dall’eID al wallet europeo: come cambiano i servizi pubblici
Un componente chiave della strategia europea è l’European Digital Identity Wallet (Eudi Wallet), ossia un portafoglio digitale che consenta ai cittadini di gestire la propria identità e i propri attributi (certificati professionali, patenti, tessere sanitarie) in modo protetto, direttamente sullo smartphone. Grazie all’Eudi Wallet, chiunque potrà autenticarsi in sicurezza su piattaforme pubbliche e private di qualunque Stato membro, senza doversi registrare da capo o fornire dati sensibili ogni volta. La diffusione di questo strumento sarà facilitata dall’aggiornamento del Regolamento Eidas (Electronic Identification, Authentication and Trust Services), che dovrebbe rendere l’identità digitale basata sull’Eudi Wallet universalmente riconosciuta in tutta l’Ue.

Gaia-X e la federazione dei dati
Un altro tassello fondamentale doveva essere Gaia-X, l’iniziativa franco-tedesca — ormai divenuta paneuropea — che mira a creare un ecosistema cloud federato e aperto. Per evitare il “vendor lock-in” tipico dei grandi fornitori globali e dare alle imprese europee un’alternativa conforme al Gdpr, più trasparente e, potenzialmente, più vicina alle esigenze locali. Finora i risultati di Gaia-X sono stati piuttosto deludenti, ma secondo il rapporto, se riuscirà ad affermarsi diventerà un pilastro portante dell’Eurostack, favorendo la creazione di “spazi di dati” settoriali (dalla sanità all’industria manifatturiera, dall’agricoltura ai trasporti) in cui la condivisione dei dati avvenga in modo sicuro e controllato.

I vantaggi attesi e le sfide da superare
La diffusione di una vera Dpi europea, sostengono gli autori, offre numerosi benefici. In primo luogo, accelererà la digitalizzazione di molte procedure, riducendo sprechi e lungaggini burocratiche: si parla spesso di “once-only principle”, secondo cui cittadini e imprese non dovranno più fornire le stesse informazioni a diverse amministrazioni, perché i dati potranno essere riutilizzati in automatico, previa autorizzazione dell’utente. Secondariamente, l’uso di standard aperti ed ecosistemi modulari (ad esempio, sistemi open source) contribuirà alla concorrenza e all’innovazione, dando spazio anche a PMI o start-up tecnologiche che oggi faticano ad affermarsi in un mercato dominato dai colossi internazionali.

Non mancano gli ostacoli. Il rapporto evidenzia come la governance di un’infrastruttura europea condivisa richieda un attento coordinamento fra le istituzioni comunitarie (Commissione, Consiglio, Parlamento), le agenzie (come l’Agenzia UE per la cybersicurezza, Enisa) e gli stessi Stati membri, talvolta gelosi delle proprie prerogative nazionali. Inoltre, la sicurezza e la privacy dei dati rimangono temi sensibili, considerando che la mole di informazioni scambiate su scala comunitaria crescerà in modo esponenziale. In parallelo, la creazione di un Eurostack dovrà tenere conto del divario digitale ancora esistente fra alcune regioni dell’UE e mettere in campo investimenti adeguati in termini di infrastrutture di rete, competenze digitali e supporto alle pubbliche amministrazioni.

Il ruolo delle risorse e degli investimenti
Finanziare un progetto così ambizioso non è banale. Alcuni Paesi, come la Germania, hanno avviato fondi specifici per supportare l’ecosistema open source (Sovereign Tech Fund), mentre l’Estonia fa leva da anni sul vantaggio di partenza offerto da X-Road. Altrove, come in Italia, il Pnrr stanzia risorse per la migrazione al cloud e per il potenziamento di Spid e Cie, ma resta da definire un piano condiviso con Bruxelles che includa tutte le parti dell’Eurostack. Proprio la sinergia tra investimenti nazionali e fondi europei (anche all’interno del programma Digital Europe) potrà fornire l’impulso necessario per completare la Dpi.

Uno sguardo al futuro
L’idea di fondo è che l’Unione Europea possa rafforzare la propria sovranità digitale, riducendo dipendenze esterne e creando un mercato interno dove i diritti dei cittadini siano pienamente rispettati. Grazie a un’architettura Dpi aperta e interoperabile, l’Europa potrebbe porsi come modello per altri Paesi, offrendo soluzioni all’avanguardia in termini di privacy e protezione dei dati, ma anche di inclusione e sviluppo sostenibile. In un mondo in cui servizi come identità, pagamenti, certificati, sanità e trasporti diventano sempre più digitali, l’Eurostack punta ad assicurare che questo passaggio epocale sia guidato dall’interesse collettivo, anziché da pochi attori dominanti.

Il rapporto, dunque, non si limita a evidenziare i benefici teorici, ma propone una vero e propria “roadmap”: un piano a lungo termine per armonizzare le politiche e permettere a tutti gli Stati membri di costruire — o integrare — un’infrastruttura comune. I prossimi anni saranno decisivi per trasformare queste visioni in realtà tangibili, sia a livello tecnico (sviluppo di software, piattaforme e standard) sia politico (coordinamento tra governi e istituzioni sovranazionali). Se ben orchestrata, l’Eurostack potrebbe diventare un motore di competitività globale e generare un impatto positivo sull’economia europea, creando nuove opportunità imprenditoriali, posti di lavoro qualificati e, soprattutto, servizi pubblici più semplici, inclusivi e resilienti.