Siamo all’alba dell’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sull’IA, al momento il più ambizioso al mondo, che mira a classificare i sistemi IA sulla base del livello di rischio e regolare le restrizioni di conseguenza. Non mancano le preoccupazioni di chi opera nel settore: sia da parte delle Big Tech, che temono un eccesso di catene legislative, sia da parte delle piccole realtà che guardano alle proprie possibilità di innovare e crescere. Il tutto sullo sfondo di un’Europa che sconta un ritardo sempre più grave sul digitale.
“Questo è sicuramente un primo banco di prova su cui si vedrà la volontà o meno della Commissione di mantenere il livello di ambizione, che a mio avviso era chiaro e significativo alla fine della scorsa legislatura”. Per l’europarlamentare e co-relatore dell’AI Act, Brando Benifei, sarà cruciale il ruolo di Bruxelles e delle altre capitali europee per mettere a terra l’AI Act con successo. Difficile sottostimare la portata della sfida: “siamo i primi a fare un passo su questo terreno, cioè quello di [regolamentare] i modelli IA più potenti, il cui sviluppo non appare completamente prevedibile”, ha sottolineato il politico in quota dem all’AdnKronos.
Per Benifei “c’è una questione di fondo” che riguarda il ruolo dell’esecutivo a Bruxelles nel procedere con un’implementazione quanto mai complessa. Settimana prossima nella Commissione verrà inaugurato l’AI Office, progettato per monitorare l’implementazione della legge. Benifei spera che il nuovo ente possa contare anche sul pieno supporto politico dei ventisette Stati membri. “Va assolutamente moltiplicato lo sforzo di outreach negli Stati membri con iniziative dedicate”, ha detto all’AdnKronos, invocando un impegno proattivo della Commissione e delle varie autorità nazionali verso le aziende, offrendo conoscenza e preparazione, per attuare la piena implementazione “nel migliore dei modi”.
La sua soluzione per le aziende che vorranno evitare frizioni (come avvenuto con il Regolamento generale sulla protezione dei dati, o Gdpr) passa dalla dall’adeguamento preventivo. La strada passa dal cosiddetto AI Pact, a cui però alcune grandi aziende (Apple, Meta e TikTok tra tutte) non hanno ancora aderito. Su domanda dell’AdnKronos, l’europarlamentare ha detto che da questa categoria sono arrivate rassicurazioni sulla volontà di partecipare in futuro.
La conversazione si è svolta ai margini dell’evento “Umani e intelligenza artificiale: lost in translation?”, organizzato dal think tank Tortuga nella cornice della Milano Digital Week, in cui un panel di addetti ai lavori, tra cui Benifei, si sono confrontati sugli impatti dell’IA nell’economia. I temi della competitività, dell’innovazione e della regolamentazione sono in primo piano dalla pubblicazione del rapporto di Mario Draghi, a cui l’europarlamentare ha dato pienamente ragione – specie per quanto riguarda il ritardo digitale dell’Ue, che secondo l’ex Bce si può recuperare anche con l’impiego dell’IA.
Benifei ha però sottolineato che le restrizioni dell’AI Act si applicano solo sui prodotti introdotti nel mercato europeo, difendendosi dalle accuse di voler inibire la competitività. Da una parte molte imprese non avranno mai a che fare con sistemi ad alto rischio, e quelle di dimensioni minori beneficeranno di “salvagenti” legali nel primo periodo (le cosiddette sandbox), ha spiegato. Dall’altra chi volesse sviluppare in Ue sistemi ad alto rischio rimane libero di farlo e venderli all’esterno senza incorrere in alcun limite.
Detto questo, l’europarlamentare dem ha posto l’accento sull’importanza del mercato europeo, evidenziando che le norme dell’AI Act guideranno le aziende che vorranno entrarci. “Noi poniamo regole ambiziose, ma non credo che nessuno rinuncerà a stare nel mercato europeo”, ha detto dal palco di Tortuga.
Nel mentre i legislatori europei e i futuri addetti dell’AI Office lavorano per offrire ulteriore chiarezza, ha continuato Benifei: linee guida per “per capire a livello pratico quali sono gli usi vietati”, misure di trasparenza affinché gli utenti possano riconoscere i contenuti generati da un’IA. Ma anche sistemi di protezione dei diritti d’autore (per assicurarsi che chi ha “nutrito” i modelli IA con i propri prodotti venga remunerato) e standard per le applicazioni più sensibili, come quelle nella sfera giuridica.
Quest’ultimo settore era rappresentato durante l’evento da Martina Domenicali, co-fondatrice di Lexroom.ai. “Ci siamo resi conto che il settore legale è uno di quelli che sarà più trasformato dall’IA, perché si tratta di un settore ad alta conoscenza, dove le moli testuali sono grandissime e dove il professionista ancora oggi lavora in maniera poco digitalizzata”. La sfida più grande per lo sviluppo del suo prodotto, basato sull’IA generativa, è l’affidabilità, ha spiegato, invocando azioni a livello europeo per facilitare l’accesso ai dati di alta qualità.
Tuttavia, ci sono settori in cui l’impatto dell’IA sarà molto meno percepito. Elia Bidut, strategist presso Talentgarden, ha voluto sottolineare in apertura che gli effetti di questi nuovi sistemi sulla produttività sembrerebbero essere più contenuti rispetto alle aspettative – alimentate dai titoli sensazionalistici comparsi negli ultimi anni e rapporti basati sulle testimonianze delle aziende più influenti nell’azionariato statunitense, quelle che più tendono a sperimentare, “drogando al rialzo” i dati.
Una stima più sobria, basata su ricerche più estese e dati Ocse aggiornati, indica che l’IA generativa ha sì segnato record in fatto di adozione (40% entro due anni negli States) ma che le aziende che riportano un impatto positivo non superano il 20%. Tra i professionisti intervistati, invece, l’impatto positivo oscilla tra il 10 e il 50%. La variazione è così alta perché dipende dal settore, ha rimarcato Bidut: i valori sono molto più alti nelle industrie dove conta molto la conoscenza (knowledge intensive) molto più bassi nelle altre. Più costanti, invece, sono le probabilità che l’IA possa aumentare la produttività di un lavoratore o finire per sostituirlo: la seconda opzione rimane la meno probabile, ha spiegato l’esperto.
Chi rimane preoccupato per il futuro piò trovare conforto nelle parole di Giulio Xhaet, partner di Newton S.p.A. “Ogni volta che esce fuori una tecnologia dirompente il mondo si divide in Apocalittici e Integrati”, ha esordito, ricordando la celebre distinzione di Umberto Eco ed echeggiando quella fatta da Bidut sull’approccio di grandi aziende e media all’IA. Il nervosismo non è nulla di nuovo: “è successo col telefono cento anni fa, parlavano di morte della socialità con il suo avvento. È successo anche con l’avvento dell’elettricità e quello di internet. Fare previsioni sul futuro è difficilissimo e nel mondo iperconnesso il contesto cambia continuamente: ora sappiamo che le professioni difficilmente vengono distrutte dall’IA, spesso cambiano, e talvolta si deve imparare a fare le cose in modo diverso”. (Di Otto Lanzavecchia)