Anche il Sud America contro la legge europea sulla deforestazione

Da Brasile, Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay critiche al regolamento: "Decisione unilaterale che non tiene conto della realtà locali"
2 mesi fa
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Deforestazione

Continuano le polemiche e le richieste di sospendere la Legge dell’Unione europea contro la Deforestazione, entrata in vigore il 29 giugno scorso. Il regolamento, che punta a eliminare la deforestazione dalle catene di approvvigionamento delle imprese dei ventisette Paesi membri, impatta in particolare su alcune categorie di merci prodotte all’estero – ma non solo – e ha ripercussioni pratiche e burocratiche anche sugli stessi agricoltori europei, già in rotta di collisione con la Commissione a causa del Green Deal, nel cui ambito rientra l’EUDER.

Dal Sud America critiche al regolamento: “Decisione unilaterale dell’Ue”

Sono molti i punti critici che il regolamento va a toccare, e nei giorni scorsi via lettera sono arrivate anche le proteste di Brasile, Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay, che hanno messo in dubbio la conformità della legge alle regole del commercio internazionale e hanno scritto una lettera all’Unione per chiedere di prorogare l’entrata in vigore della Deforestation Law.

Come riporta Politico, il segretario all’Agricoltura argentino Sergio Iraeta ha detto ai commissari europei Šefčovič, Valdis Dombrovskis e Janusz Wojciechowski: “La legge è “una decisione unilaterale dell’Ue che non tiene conto della legislazione nazionale dei Paesi terzi, né delle realtà e delle capacità locali del nostro Paese e delle nostre regioni”.

Un primo problema riguarda proprio il fatto che – non solo in Sud America – i piccoli agricoltori non hanno meno mezzi per fornire i dati richiesti dall’Ue e rischiano di venire spinti fuori dal mercato dai commercianti più grandi che potranno produrre la documentazione richiesta.

I Paesi dell’area indo-pacifica: un mix di fattori non solo economici

Anche i Paesi dell’area indo-pacifica in questi mesi ha espresso disappunto per la severità delle norme europee, che a loro dire imporrebbero obblighi burocratici ed economici troppo pesanti per potervisi adeguare e dalle quali – altro aspetto da considerare – trasparrebbe anche un senso di superiorità che viene mal digerito dalle nazioni coinvolte.

Ci sono poi altre considerazioni da tenere in conto: ad esempio, i Paesi ‘emergenti’ ricchi di foreste trovano ingiusto che gli europei abbiano fatto sostanzialmente come volevano, tagliando le loro foreste e sviluppando le loro economie senza conseguenze e adesso chiedano agli altri di non farlo.

Un mix di fattori non solo strettamente economici dunque, che alimenta le proteste e il rischio che le imprese dell’area si gettino nelle braccia della Cina. L’Indonesia, che possiede molte foreste, ha già minacciato di farlo. La cosa ovviamente fa gioco proprio al gigante asiatico, con il quale peraltro l’Europa si sta muovendo sul filo di una guerra commerciale a suon di dazi. Il Dragone sta infatti incrementando i suoi scambi commerciali con l’Indonesia e sta investendo nelle sue aziende del settore del nichel, componente essenziale per le batterie delle auto elettriche.

Le proteste interne

Ma le proteste non vengono solo da fuori: già lo scorso aprile i ministri dell’agricoltura e dell’economia austriaci, a cui si erano associati altri Stati membri dell’Unione – tra cui l’Italia – avevano espresso insoddisfazione per l’EUDER e chiesto di alleggerirne le norme o di ritardarne l’entrata in vigore, per via degli obblighi stringenti che imporrebbero in capo ai Paesi coinvolti e agli agricoltori. Sfide definite “insormontabili” in una lettera firmata dai ministri austriaci e indirizzata a von der Leyen e ai commissari europei Maroš Šefčovič, Janusz Wojciechowski e Virginijus Sinkevičius.

La missiva comunque non era stata condivisa da tutti i Ventisette, a partire dal Ministero dell’Ambiente austriaco che ne aveva preso ufficialmente le distanze precisando di non essere stato coinvolto nella sua stesura. Ed era stata a sua volta criticata anche perché vista come un tentativo di annacquare le politiche ambientali europee.

Cos’è il regolamento Ue contro la deforestazione

Già, l’ambiente. Secondo le stime della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), tra il 1990 e il 2020 è andata distrutta a causa della deforestazione un’area più grande dell’intera Unione europea, ovvero 420 milioni di ettari di foresta. Mentre l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) rileva che il 23% delle emissioni totali di gas serra nel periodo 2007-2016 proviene da agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo. Di queste, circa l’11% deriva dalla silvicoltura e da altri usi del suolo, principalmente dalla deforestazione, e il restante 12% dalla produzione agricola, come bestiame e fertilizzanti.

Eppure, fermare la deforestazione e ripristinare gli ecosistemi è il modo più efficiente per ridurre i livelli di CO2, dopo l’adozione dell’energia eolica e solare, e dunque per combattere il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità.

Su questa linea si muove appunto l’EUDER, che ha l’obiettivo di sfavorire le pratiche di deforestazione in Europa e nel Mondo, e lo fa chiedendo che una serie di merci-chiave, provenienti sia dall’interno che dall’esterno dell’Ue, siano ‘deforestazione-free’.

Nello specifico, le imprese dei 27 Paesi membri dovranno certificare che il loro prodotto, comprese le filiere di approvvigionamento, non deriva da terreni che siano stati soggetti a deforestazione o degrado forestale, comprese le foreste primarie, dopo il 31 dicembre 2020.

Teoricamente non ci sono divieti per nessun Paese e per nessun bene, ma di fatto le aziende interessate dovranno condurre una rigorosa due diligence se esportano o immettono sul mercato europeo olio di palma, bovini, soia, caffè, cacao, legname e gomma, o derivati come carne di manzo, mobili o cioccolato.

Non solo: le aziende dovranno inoltre verificare che tali prodotti siano conformi alla legislazione vigente nel Paesi di produzione anche in materia di diritti umani, e che rispettino i diritti delle popolazioni indigene interessate.

Le aziende hanno 18 mesi di tempo per adeguarsi al regolamento, che prevede per le micro e piccole imprese tempi più lunghi e norme specifiche.

In questo lasso di tempo, la Commissione dovrà analizzare i Paesi o loro aree specifiche per determinarne “in modo oggettivo e trasparente” i livelli di rischio, che saranno tre: basso, standard o alto.
I prodotti provenienti da Paesi a basso rischio saranno soggetti a una procedura di due diligence semplificata. La percentuale di controlli viene eseguita sugli operatori in base al livello di rischio stabilito: 9% per i Paesi ad alto rischio, 3% per il rischio standard e 1% per il rischio basso.

Le autorità competenti dell’Unione avranno accesso alle informazioni pertinenti fornite dalle aziende, come le coordinate di geolocalizzazione, ed effettueranno controlli con l’ausilio di strumenti di monitoraggio satellitare e analisi del DNA per verificare la provenienza dei prodotti.

Virginijus Sinkevičius, commissario per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, in occasione dell’entrata in vigore del regolamento aveva spiegato le motivazioni dietro la sua adozione: “Con la legge fondamentale sulla deforestazione, l’Ue si assume la sua parte di responsabilità per quanto riguarda la deforestazione e il degrado forestale a livello mondiale. Questa legge risponde all’obiettivo condiviso a livello internazionale di porre fine alla deforestazione e andrà a beneficio delle persone in tutto il mondo. Le foreste rispondono a esigenze vitali e offrono lavoro e posti di lavoro a milioni di persone. Tale legge non solo contribuirà a proteggere le foreste del pianeta, ma stimolerà anche la domanda di prodotti a deforestazione zero. Tutti i Paesi potranno continuare a vendere i loro prodotti nell’Ue, a condizione che possano dimostrare di essere a deforestazione zero. Collaboreremo con i nostri partner internazionali per contribuire al successo di questo regolamento”.

Intenzioni più che nobili, quelle espresse dal commissario, ma che si stanno scontrando con una realtà più sfaccettata.