Sono ore concitate quelle dopo il primo turno delle elezioni lampo francesi, indette dal presidente Emmanuel Macron dopo la pesante sconfitta subita alle europee di inizio giugno. Ieri il primo turno, domenica prossima il secondo e definitivo.
La prima tornata ha confermato i sondaggi, con Rassemblement Nazional (RN) primo partito (29,2% dei voti, 33,1% in totale per l’estrema destra con Les Républicains di Eric Ciotti), il Nouveau Front Populaire (NFP) secondo (27,9%) e staccato Ensemble, la coalizione centrista del presidente (20%).
Celia Belin, responsabile e Senior Policy Fellow dell’ECFR Parigi, ha commentato così questi risultati: “La decisione di Macron di indire elezioni anticipate è equivalsa a un autosabotaggio, accelerando l’ascesa dell’estrema destra nella politica francese di mesi o addirittura anni. La sua scommessa si è ritorta contro, poiché il Rassemblement National (RN) ha raggiunto il 34% al primo turno, lasciandolo indebolito e isolato. La sua coalizione centrista ha perso da sei a otto punti percentuali rispetto al 2022, conservando potenzialmente solo un terzo dei suoi precedenti seggi di cui godeva il suo campo solo tre settimane fa”.
Si fa sempre più concreta la possibilità di una ‘coabitazione’ tra Macron e un governo di segno contrario, e dunque di probabili conflitti costituzionali e di uno stallo politico. E non è l’unico problema.
Una situazione inedita: una camera senza maggioranza
Intanto occorre aspettare il secondo turno, come ha sottolineato Thibault Muzergues dell’International Republican Institute durante la ‘notte elettorale’ che si è tenuta al Palazzo dell’informazione dell’Adnkronos a Roma, durante la quale i vicedirettori Fabio Insenga e Giorgio Rutelli hanno analizzato in diretta gli exit poll e le prospettive per il futuro di Francia e non solo.
Secondo le prime proiezioni, ha spiegato Muzergues, RN è accreditato tra 240-270 seggi, mentre la maggioranza assoluta è 289 seggi. E le dichiarazioni di leader di sinistra e macroniani sembrano dire che c’è l’inedita possibilità di una camera senza maggioranza, cosa non prevista nella Quinta repubblica francese.
In sostanza, ha evidenziato l’esperto, “la scollatura degli ultimi 10 anni tra populisti ed élite è superata da quella tra sinistra e destra; la sinistra lo ha capito meglio anche se stasera ha preso meno. Ma significa che sarà difficile per RN avere la maggioranza assoluta domenica prossima”.
Per Muzergues un altro elemento da considerare rispetto a questa contrapposizione emerge dal confronto con l’Italia: mentre da noi “c’è una destra chiara”, in Francia “Le Pen e Bardella rifiutano l’appellativo di destra, in un Paese che viene dalle rivoluzioni ed è più difficile dirsi conservatori o di destra”.
Il ritorno del partitismo
Secondo l’esperto siamo di fronte anche a un ritorno del partitismo: “A noi francesi non piacciono i partiti e ora è arrivato primo Rassemblement National, che come struttura è l’unico costruito davvero come un partito. Dobbiamo ricostituire di nuovo dei partiti per rappresentare tutte le tendenze e le complessità della società e per avere un dibattito democratico. Forse (su questo, ndr) l’Italia può darci lezioni”.
Sul tema è intervenuto anche Marco Fioravanti, professore di storia del diritto medievale e moderno e direttore del corso di laurea in scienze dell’amministrazione e delle relazioni internazionali presso l’università di Roma Tor Vergata: “Ci troviamo in un contesto di ‘governo dei partiti’ un po’ all’italiana ma in un ambito costituzionale diverso, che nella Francia della Quinta repubblica non è previsto, è piuttosto una Repubblica delle persone. La Quinta repubblica nasce dalla crisi della quarta che era come l’Italia: assemblearismo, ingovernabilità, partiti litigiosi. Poi De Gaulle fece chiarezza”.
Ora però ci si trova potenzialmente in una situazione nuova. Ma, ha continuato Fioravanti, “è un segno di vitalità, un nuovo conflitto tra destra e sinistra. Gli stessi Macron e Mélenchon fanno pace una settimana ma poi torneranno in armi”.
La strana ‘coppia’
In effetti anche un’unione tra macronisti e sinistre sarà strana, ha sottolineato Muzergues, viste le enormi differenze nelle visioni e le posizioni soprattutto dell’ala più radicale, la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon che è stata tacciata anche di antisemitismo.
Come ha ricapitolato Rutelli, i tre fronti ‘contendenti’ vengono trattati come omogenei ma non lo sono, “a parte RN che è un monolite quasi familiare, dinastico”. A sinistra infatti ci sono i socialisti (quel che ne rimane), Raphael Glucksmann di Place Publique che è andato bene, ecologisti e comunisti e poi Mélenchon appunto: “Soggetti a cui Macron non avrebbe nemmeno telefonato, figuriamoci allearsi”.
Come potrebbero allora tenersi insieme? Tanto più pensando alle promesse elettorali mirabolanti e ‘scassabilancio’ della sinistra?
Per Fioravanti “ci vorrebbe un grande mediatore più che un grande leader con un’enfasi eccessiva su se stesso, un grande mediatore forse un po’ sherpa, se vogliamo da prima Repubblica, per agevolare una contrattazione tra partiti”.