Volkswagen si fa cinese: il “cortocircuito” europeo dell’auto elettrica

L’azienda automobilistica tedesca ha deciso di aprire un centro di produzione a Hefei, in Cina
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Volkswagen Hefei Cina Ipa Ftg
Volkswagen, Hefei in Cina (Ipa/Fotogramma)

Il mito dell’auto tedesca sta subendo una battuta d’arresto dolorosa creando un vero e proprio “cortocircuito” industriale nell’Unione europea. Il gigante tedesco Volkswagen ha annunciato una mossa strategica che rappresenta un tentativo di recuperare terreno nell’industria dell’elettrico. La strategia prevede la produzione di auto elettriche in una struttura in Cina, dove i costi di fabbricazione risultano dimezzati rispetto alla Germania. Lo slogan è “In Cina per la Cina”: ma cosa rappresenta questa scelta per Berlino e per l’Ue intera?

Volkswagen si fa cinese

L’azienda automobilistica tedesca ha deciso di aprire un centro di produzione a Hefei, in Cina, struttura ribattezzata “seconda Wolfsburg”, città della Bassa Sassonia, nota per essere la sede dell’industria automobilistica Volkswagen. Lo scopo è recuperare il ritardo accumulato nei confronti dei rivali cinesi come Byd, producendo direttamente in Cina.

Il nuovo stabilimento produttivo è frutto di un investimento di 2,5 miliardi di euro e rappresenta una novità storica, non solo per la Germania, ma anche per l’Unione europea intera: è il primo stabilimento di Volkswagen dove modelli e piattaforme vengono sviluppati integralmente in un Paese estero senza la supervisione del quartier generale tedesco.

Dietro questa scelta c’è un calcolo strategico aziendale: ridurre i costi di produzione e accelerare verso l’elettrico. Produrre in Cina significa tagliare i costi fino al 50%, grazie ad una razionalizzazione della catena di approvvigionamento, incluse le batterie, cruciali per le auto elettriche; questo contribuirà ad uno sviluppo più rapido riducendo del 30% i tradizionali 50 mesi necessari. La produzione a Hefei è destinata al mercato locale, ma il gruppo tedesco punta a esportare queste auto cinesi verso altri mercati, come i Paesi arabi e l’Asia centrale, escludendo (per ora) l’Europa.

Cosa significa per l’Unione europea?

Il cortocircuito europeo è evidente nelle decisioni prese a Wolfsburg. Se da un lato Volkswagen rilancia in Cina, dall’altro l’amministratore delegato Oliver Blume ha lanciato una pesante ristrutturazione in Germania a causa del calo delle vendite e della debole domanda in Europa. Il risultato diretto è un piano per tagliare 35.000 posti di lavoro in Germania entro il 2035.

“La nostra strategia ‘In Cina per la Cina’ continua a guadagnare slancio – ha dichiarato Oliver Blume, Ceo del Gruppo Volkswagen -. Presso il nostro centro di sviluppo di Hefei, in Cina, abbiamo creato tutte le condizioni necessarie per sviluppare, testare e produrre localmente la prossima generazione di veicoli intelligenti e connessi. Questo traguardo ci rende ancora più veloci ed efficienti, e ci avvicina ancora di più ai nostri clienti. Questo ci consentirà, come Gruppo Volkswagen, di consolidare la nostra posizione nel più grande mercato automobilistico del mondo, con il chiaro obiettivo di diventare il motore tecnologico globale dell’industria automobilistica”.

Dello stesso parere anche Ralf Brandstätter, membro del Consiglio di Amministrazione di Volkswagen e responsabile per la Cina e presidente e Ceo di Volkswagen Group China: “La Cina è il mercato automobilistico più competitivo al mondo e i nostri clienti si aspettano innovazione rapida e qualità impeccabile. Per questo motivo stiamo portando le nostre capacità di sviluppo in Cina a un livello superiore. Espandendo la nostra presenza a Hefei, stiamo rafforzando la nostra capacità di rispondere rapidamente alle esigenze locali e di plasmare le tecnologie direttamente dove verranno utilizzate. Questo passo rafforza il nostro impegno nei confronti della Cina e garantisce che i nostri prodotti futuri riflettano le preferenze e le aspettative dei clienti cinesi fin dall’inizio”.

Per l’Unione europea, la situazione solleva gravi preoccupazioni. Le case automobilistiche europee stanno diventando sempre più dipendenti dalla Cina, non solo per materie prime critiche, come le terre rare e le batterie, ma anche a livello produttivo e tecnologico. La filiale cinese di Volkswagen sarà ora totalmente autonoma dalla casa madre tedesca, mettendo in luce un’asimmetria che indebolisce la base industriale europea.

Inoltre, il mercato unico è minacciato da un’avanzata inarrestabile dell’industria cinese, che include non solo le auto elettriche, ma anche le batterie e i pannelli solari. L’afflusso di prodotti cinesi a basso costo è aumentato anche a causa dell’effetto a catena dei dazi statunitensi, mettendo sotto pressione settori europei come acciaio e prodotti chimici, che già devono affrontare i costi elevati dell’energia e le regole ambientali del Green Deal.

La reazione di Bruxelles

Di fronte a questa nuova prospettiva, Bruxelles si sta preparando ad alzare quello che viene definito l’ultimo “muro” contro la Cina. L’esecutivo europeo sta lavorando a una stretta sulle regole per gli investimenti esteri diretti. Il presupposto è: se i colossi cinesi, i cui investimenti diretti nella Ue sono aumentati dell’80% fino a raggiungere i 9,4 miliardi di euro lo scorso anno, vogliono beneficiare del mercato aperto europeo, l’Europa deve ottenerne dei benefici.

A sottolineare l’importanza di queste norme è stato il Commissario all’Industria europea, Stéphane Séjourné, il quale ha sottolineato che i nuovi criteri dovranno assicurare che gli investimenti esteri contribuiscano al funzionamento dell’intera catena del valore europea. Ogni investimento cinese deve essere produttivo per la crescita europea, e non solo per la Cina.

Nel mirino di Bruxelles ci sono i giganti del settore elettrico, come Catl, il più grande produttore mondiale di batterie, e la stessa Byd. Catl sta costruendo diverse grandi fabbriche in Europa, tra cui un impianto da 7 miliardi di euro in Ungheria e uno da 4 miliardi in Spagna. Un caso che ha sollevato dubbi a Bruxelles riguarda il piano di Catl di portare 2.000 lavoratori cinesi nella regione di Saragozza, in Spagna, pur mantenendo la massima riluttanza a condividere i suoi segreti tecnologici più preziosi. In sostanza, l’Ue cerca disperatamente di arginare lo strapotere di Pechino, chiedendo che l’accesso al mercato europeo sia un accordo a doppio senso, e non un’autostrada a senso unico verso i profitti cinesi.