La campagna europea Stop Rearm Europe, che unisce oltre 800 organizzazioni e movimenti della società civile di tutto il continente, ha lanciato un forte appello ai parlamentari dell’Unione europea attraverso una lettera aperta, esortandoli a votare contro la crescente militarizzazione del bilancio comunitario. L’obiettivo, sintetizzato nello slogan “welfare, not warfare“, è chiaro: trasferire i fondi europei dalla guerra alla pace.
L’iniziativa si è intensificata in vista del cruciale voto sull’approvazione del Bilancio 2026, previsto il 26 novembre. Questa proposta prevede un aumento di cinque volte delle risorse destinate alle politiche di difesa e spaziali, con l’aggiunta di programmi civili aperti all’industria degli armamenti.
Una corsa agli armamenti
I promotori della campagna avvertono che questa “corsa agli armamenti” non si limita al bilancio annuale 2026, ma si “annida” anche in negoziati più ampi, inclusi il prossimo bilancio a lungo termine dell’Ue (Quadro Finanziario Pluriennale, 2028-2034) e una serie di “pacchetti omnibus“. Questi pacchetti sono descritti come processi di deregolamentazione che mirano a eliminare norme e tutele in settori come l’ambiente e il lavoro, sdoganando l’economia di guerra per almeno i prossimi 10 anni in Europa.
Secondo Stop Rearm Europe, tali politiche stanno dirottando risorse pubbliche dalle sfide più cruciali dell’umanità, come la prevenzione e risoluzione pacifica dei conflitti, la lotta al cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e le crisi sanitarie. Inoltre, i piani di riarmo sono destinati al fallimento, poiché rafforzeranno l’insicurezza globale e alimenteranno la corsa globale agli armamenti.
Le organizzazioni chiedono una sicurezza autentica, intesa come una sicurezza incentrata sui bisogni umani, includendo la sicurezza ambientale, climatica, alimentare, economica, sociale e sanitaria, per tutti i cittadini del mondo.
L’ombra dell’influenza delle lobby
Una preoccupazione centrale sollevata dalla campagna è l’eccessiva e crescente influenza dell’industria degli armamenti sulle istituzioni europee, definita come un’ingerenza che mina la credibilità dell’Ue. I dati rilevati sono emblematici:
- La Commissione europea, fino a ottobre 2025, ha incontrato i lobbisti dell’industria degli armamenti ben 89 volte per discutere di riarmo e geopolitica, ma solo 15 volte ha incontrato sindacati, Ong o scienziati sugli stessi argomenti.
- I membri del Parlamento europeo hanno incontrato la lobby delle armi 197 volte tra giugno 2024 e giugno 2025, un incremento significativo rispetto alle 78 volte registrate nei cinque anni precedenti.
L’attività di lobbying dell’industria degli armamenti ha giocato un ruolo decisivo nell’adozione dei primi sussidi Ue al settore dieci anni fa, e i budget destinati a tali attività dalle dieci maggiori aziende produttrici di armi sono aumentati del 40% tra il 2022 e il 2023. La campagna sostiene che il cosiddetto piano di “prontezza alla difesa” si riduce essenzialmente a sovvenzionare grandi aziende militari per incrementare la produzione e le vendite di armi.
Le quattro misure concrete richieste
Per preparare la pace e un futuro migliori, la campagna esorta i parlamentari a prendere quattro misure concrete nelle prossime settimane e mesi:
- Votare contro il Bilancio 2026 e chiedere con urgenza la ripresa dei negoziati per ridurre i sussidi all’industria degli armamenti e aumentare invece le risorse per la diplomazia, la prevenzione e la risoluzione pacifica dei conflitti; la fine di tutte le clausole di esenzione che impediscono il normale controllo parlamentare sui programmi militari.
- Difendere le norme sociali e ambientali respingendo le proposte di allentamento normativo. In particolare, si chiede di impedire che il Fondo europeo per la difesa finanzi attività di sperimentazione al di fuori dell’Europa, permettendo così di testare armi e tecnologie militari in qualsiasi zona di guerra, come a Gaza e in Ucraina.
- Respingere l’attuale proposta del Quadro finanziario pluriennale 2028-2034 rifiutando l’aumento di cinque volte del bilancio destinato direttamente alle politiche di difesa e spaziali; respingere la deviazione di risorse da programmi civili (come Horizon, mobilità, coesione e welfare) a favore delle spese militari e riassegnare tali fondi per rafforzare la diplomazia e gli aiuti esterni, con attenzione alla lotta contro il cambiamento climatico, la povertà e la disuguaglianza.
- Opporsi alle pressioni volte a limitare l’azione degli attori della società civile.
