Europa divisa sul clima: il Consiglio rinvia il target 2040 e apre alla revisione dell’Ets2

I leader Ue chiedono flessibilità sugli obiettivi e condizioni di sostegno per industria e cittadini. Il Green Deal entra nella fase della negoziazione economica
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Bandiera Europea Canva

Il Consiglio di Bruxelles si è chiuso senza l’approvazione del nuovo obiettivo climatico dell’Unione per il 2040. La proposta della Commissione, che prevede un taglio del 90% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990, resta formalmente sul tavolo, ma la discussione è stata rinviata a un Consiglio ambiente straordinario previsto per l’inizio di novembre.

Nelle conclusioni approvate, i Ventisette hanno invitato la Commissione “a sviluppare ulteriormente le condizioni abilitanti necessarie per sostenere l’industria europea e i cittadini nel conseguimento del traguardo intermedio del 2040”, segnalando la necessità di un quadro di sostegno più solido e di strumenti economici adeguati.

Il testo riflette una linea di equilibrio fra governi che si muovono con velocità diverse. I Paesi dell’Est, con la Polonia in testa, hanno chiesto di rallentare, citando i costi per industria e famiglie. Germania e Italia hanno insistito sulla neutralità tecnologica e sulla flessibilità nell’applicazione delle norme, mentre alcuni Stati membri hanno difeso livelli di ambizione elevati.

Ursula von der Leyen ha cercato di ricomporre la frattura, invitando “a coniugare ambizione e pragmatismo, aprendo a meccanismi di flessibilità”.

Le conclusioni toccano anche il nodo dell’Ets2, il sistema di scambio delle quote di emissioni che dal 2027 includerà trasporti, edilizia e piccola industria.
Al punto 47, i leader invitano la Commissione a presentare una revisione del quadro di attuazione dell’Ets2, per evitare impatti sociali eccessivi e garantire una transizione equa e gestibile.
Il vertice non ha dunque definito il nuovo traguardo, ma ha messo per iscritto il principio che la transizione dovrà essere “equa e giusta, pragmatica, efficiente in termini di costi e socialmente equilibrata”. Una formula che fotografa l’attuale equilibrio europeo: l’obiettivo resta, i tempi si allungano.

Tra revisione e compensazioni

Due elementi introdotti nelle conclusioni segnano un cambiamento di tono nella politica climatica dell’Unione: la clausola di revisione e il riconoscimento dei crediti internazionali.
La prima consente di riesaminare periodicamente il target del 2040 “alla luce delle più recenti evidenze scientifiche, dei progressi tecnologici e delle sfide in evoluzione per la competitività globale”. È una richiesta promossa soprattutto da Varsavia, sostenuta da Roma e Berlino, che la considerano uno strumento di flessibilità utile a calibrare la traiettoria climatica su basi economiche reali.

La seconda novità riguarda la possibilità di utilizzare crediti internazionali di “alta qualità” per compensare parte delle emissioni residue. Tra le proposte politiche emerse, l’Italia ha chiesto di poter conteggiare fino al 5% del totale attraverso progetti di riduzione in Paesi terzi — un’ipotesi che non compare come vincolante nelle conclusioni, ma che resta oggetto di discussione tra gli Stati membri.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha chiesto che “gli obiettivi europei siano accompagnati da chiare condizioni abilitanti” e che le compensazioni esterne vengano riconosciute per sostenere la competitività delle imprese.

Le posizioni non sono univoche. La Francia preferisce mantenere la priorità alle riduzioni interne, mentre i Paesi nordici e l’Irlanda considerano i crediti un rischio di indebolimento dell’ambizione. “L’atmosfera non può essere ingannata da una contabilità creativa”, ha commentato Alex Mason, responsabile Clima ed Energia del Wwf Ue, sottolineando la necessità di puntare su riduzioni effettive delle emissioni piuttosto che su compensazioni.

La clausola di revisione, invece, ha raccolto un consenso più ampio perché non altera immediatamente i target, ma introduce un meccanismo di verifica periodica. Il punto politico è che, per la prima volta, l’Unione ammette la possibilità di ricalibrare i propri obiettivi climatici sulla base di variabili economiche, superando la logica dei traguardi fissi. È un passaggio che segna la transizione da un’impostazione normativa a una strategia adattiva, più vicina alla realtà industriale dei Paesi membri.

Il Green Deal alla prova dei fatti

Nel documento finale, la competitività assume lo stesso rilievo della sostenibilità. Il Consiglio chiede “un cambio di passo” nella politica industriale e una drastica riduzione degli oneri amministrativi per le imprese. Entro la fine dell’anno dovrebbe essere adottato il pacchetto omnibus sulla rendicontazione di sostenibilità e, nei primi mesi del 2026, ulteriori interventi su energia, chimica, digitale e trasporti.

L’Unione riconosce la necessità di un approccio tecnologicamente neutro alla decarbonizzazione, con particolare attenzione ai settori energivori: acciaio, cemento, ceramica, vetro, carta. Le conclusioni accolgono “con favore la proposta della Commissione di proteggere il settore siderurgico europeo dagli effetti della sovraccapacità globale” e chiedono “una rapida revisione del regolamento sulle emissioni di Co₂ per auto e furgoni”, in linea con il principio di neutralità tecnologica.

Su questo fronte, Italia e Germania hanno presentato una richiesta congiunta di revisione del divieto di vendita di nuove auto a benzina e diesel dal 2035, per consentire l’utilizzo di carburanti sintetici e biocarburanti. La Commissione si è impegnata a valutare modifiche entro la fine dell’anno.
Le organizzazioni ambientaliste hanno reagito criticamente. In una lettera congiunta, Legambiente, Greenpeace, Kyoto Club, Transport & Environment e Wwf Italia hanno affermato che “non è rallentando la transizione che l’Europa diventerà più competitiva” e che la “neutralità tecnologica” rischia di essere usata “per mantenere in vita tecnologie superate”.

Il Consiglio riconosce però che il Green Deal, avviato senza una strategia industriale coerente, fatica a tradursi in risultati concreti. I casi Northvolt e Stegra – aziende simbolo della nuova economia verde nordica, ora in difficoltà – mostrano che il costo delle tecnologie pulite resta elevato e che la concorrenza internazionale, in particolare cinese e statunitense, continua a esercitare una forte pressione sui prezzi.
Per l’Europa, la sfida è mantenere l’ambizione climatica e al tempo stesso costruire un contesto industriale capace di sostenere la trasformazione. Le prossime proposte della Commissione dovranno indicare strumenti finanziari e normativi credibili, altrimenti il Green Deal rischia di diventare una promessa priva di fondamento economico.

Verso un’Unione dell’energia

Il nodo energetico rimane il principale punto di attrito. Le conclusioni del vertice invitano la Commissione “ad accelerare i lavori per ridurre i prezzi dell’energia e sostenere la produzione di energia sostenibile nell’Unione”, riconoscendo che i costi elevati dell’elettricità pesano sulla competitività industriale e sulla tenuta sociale. L’obiettivo dichiarato è realizzare “un’autentica Unione dell’energia prima del 2030”, con investimenti in reti, stoccaggi e interconnessioni.

L’Ets2, che estenderà il prezzo del carbonio ai settori non industriali, è destinato a diventare un banco di prova politico. La misura mira a uniformare la decarbonizzazione tra imprese e cittadini, ma i governi temono un aumento dei prezzi dei carburanti e del riscaldamento domestico. Per questo i leader hanno chiesto una revisione del meccanismo prima della sua applicazione, in modo da garantire una transizione “equa e gestibile”.

La Commissione dovrà anche chiarire come saranno utilizzati gli introiti derivanti dalle nuove quote Ets, che secondo le previsioni potrebbero generare decine di miliardi di euro l’anno. Una parte dovrà finanziare il Fondo sociale per il clima, destinato a compensare le fasce più vulnerabili. Senza un sistema di redistribuzione efficace, il rischio politico è evidente: un’ulteriore pressione sui redditi medi e bassi potrebbe tradursi in una nuova ondata di resistenze.

La discussione sull’energia si collega direttamente alla competitività industriale. La produzione europea paga ancora prezzi dell’elettricità superiori del 40-60% rispetto a Stati Uniti e Cina. Il Consiglio chiede quindi “di intensificare gli sforzi per garantire approvvigionamenti di energia pulita e a prezzi accessibili”, richiamando l’uso di tutte le soluzioni a emissioni nette pari a zero e a basse emissioni di carbonio, con investimenti in reti, stoccaggi e interconnessioni.

Il tema, finora marginale nel dibattito politico europeo, è tornato d’attualità come possibile strumento di sicurezza energetica e riduzione dei costi, in parallelo con il potenziamento delle rinnovabili.

Dalla transizione verde a quella digitale

Accanto alla transizione verde, il vertice ha rilanciato il terzo pilastro della strategia europea: la “transizione digitale sovrana”. Il Consiglio ha riconosciuto che, in un contesto di competizione globale per l’innovazione, l’Unione deve “rafforzare la propria base tecnologica” e ridurre la dipendenza da fornitori esterni. Si parla di infrastrutture cloud europee, semiconduttori, intelligenza artificiale e cybersecurity, con l’obiettivo di creare un ecosistema industriale integrato.

Il Consiglio sottolinea che “i valori, gli interessi e l’autonomia normativa dell’Unione sono alla base dell’azione dell’Ue, anche nella sfera digitale”. È un messaggio rivolto sia agli Stati Uniti, principali partner tecnologici, sia alla Cina, da cui l’Europa importa gran parte delle materie prime critiche necessarie per le tecnologie verdi.

Le discussioni di Bruxelles hanno mostrato che la politica industriale europea non può più essere separata da quella climatica: entrambe determinano la posizione geopolitica dell’Unione.

In vista della Cop30, la mancanza di una decisione sul target 2040 indebolisce però la capacità negoziale dell’Europa. L’Unione resta il principale donatore di finanza climatica globale, ma il suo ruolo di guida politica appare meno definito. La richiesta di flessibilità e revisione, pur comprensibile sul piano economico, viene letta in molte capitali come un segnale di incertezza.

Il presidente del Consiglio europeo António Costa ha annunciato per febbraio un vertice informale interamente dedicato alla competitività, in preparazione del Consiglio di marzo. L’obiettivo sarà collegare i tre assi – transizione verde, transizione digitale e mercato unico – in un’unica strategia industriale europea.