Non chiamatelo hamburger di soia… A stabilirlo sono gli eurodeputati in plenaria a Strasburgo con 532 voti favorevoli, 78 contrari e 25 astenuti. La questione riguarda il cosiddetto “meat sounding”, cioè, denominare carne ciò che non lo è e ha come scopo quello di fornire una nuova definizione del prodotto che si leghi solo a parti commestibili di animali. Denominazioni quali “bistecca“, “scaloppina”, “salsiccia” o “hamburger” non risulterebbero congrue a prodotti vegetali e coltivati in laboratorio.
“Vogliamo assicurarci – ha spiegato Celine Imart (Partito popolare europeo), relatrice francese firmataria dell’emendamento al regolamento sull’Organizzazione comune dei mercati – che gli agricoltori abbiano un contratto con il loro primo acquirente. Dobbiamo porre fine a rapporti commerciali precari e disequilibrati. Serve garantire una remunerazione equa a chi ci nutre, tenendo conto dei costi di produzione. Il reddito agricolo non è solo una questione di statistiche o cifre astratte: è una questione di giustizia, dignità e talvolta di sopravvivenza. Chi produce il nostro cibo rappresenta la nostra identità. Questo strumento è il minimo che dobbiamo loro”.
Confusione del consumatore?
Tra le giustificazioni con le quali si supporta la tesi che il “meat sounding” spetti solo ai prodotti contenenti carne c’è la tutela dei consumatori da presunti fraintendimenti sulla natura del prodotto. Ricerche disponibili e precedenti legali, però, smentiscono questa narrazione.
In Francia, ad esempio, la Corte di Cassazione ha esaminato la controversia e ha stabilito che gli equivalenti vegetali della carne non sono in grado di trarre in inganno gli acquirenti. I giudici hanno chiarito che, grazie alla pubblicità e alle etichette, la composizione vegetale dei prodotti viene comunicata in modo inequivocabile. Questi cibi rimangono facilmente identificabili anche quando esposti accanto ai prodotti convenzionali a base di carne.
Inoltre, le indagini sul comportamento d’acquisto in Europa dimostrano una notevole chiarezza da parte del pubblico. Un sondaggio del Beuc del 2020 ha rilevato che la maggior parte dei consumatori (circa il 70%) non è preoccupata per la denominazione di “hamburger” o “salsicce” vegetariani, purché i prodotti siano chiaramente identificabili come vegetariani/vegani. Quasi la metà degli intervistati (42%) ha affermato che queste denominazioni dovrebbero essere consentite a condizione che i prodotti siano chiaramente etichettati come vegetariani/vegani, e 1 su 4 (26,2%) non vede alcun problema nell’uso di tali denominazioni. Un altro 11% non ha un’opinione in merito.
Effetti negativi sul mercato vegetale e sull’innovazione
Il think tank Good Food Institute Europe (Gfi Europe) ha sottolineato che misure volte a vietare la nomenclatura relativa alla carne a prodotti planted based non solo non difende gli acquirenti, ma rischia di aumentare la confusione e ignora sia le prove disponibili sia l’impatto economico.
Il mercato al dettaglio di alimenti a base vegetale in Europa sta dimostrando una notevole capacità di resistere, con un aumento dei volumi di vendita registrato nel 2024 in quattro dei sei paesi analizzati (Francia, Germania, Italia, Spagna con Regno Unito e Paesi Bassi). La dinamica chiave in questi mercati in crescita – secondo il think thank Gfi – è la spinta fornita dai prodotti a marchio privato, che sono venduti con il marchio del rivenditore e sono, nella maggior parte dei casi, più economici delle alternative di marca. L’aumento del volume delle vendite dei marchi privati dimostra che l’accessibilità economica è essenziale per raggiungere una base di consumatori più ampia. Tuttavia, il prezzo non è l’unico fattore. In alcune categorie, i prodotti di marca di produttori privati, pur essendo relativamente più costosi, stanno guidando le vendite, suggerendo che i consumatori stanno dando sempre più importanza al gusto, alla qualità percepita o alla facilità di preparazione.
In Europa parliamo di un valore complessivo di oltre 5,8 miliardi di euro e nel 2024 il mercato retail italiano degli alimenti a base vegetale ha raggiunto i 639 milioni di euro, registrando un +16,4 % rispetto al 2022 e un +7,6 % sul 2023. Ma non solo, i flussi di investimento confermano l’interesse in costante crescita per il settore: nel 2024, le aziende europee non quotate attive nei settori della carne coltivata e della fermentazione a base vegetale hanno raccolto circa 470 milioni di euro, +23% rispetto al 2023, e 63 milioni di euro di finanziamenti pubblici (+137%).
La visione scientifica: il rapporto Eat di Lancet
Il quadro scientifico globale sulla sostenibilità è chiaro. La Commissione Eat-Lancet, formata da esperti in nutrizione, salute e scienze ambientali, ha elaborato la “Dieta per la salute planetaria”, un modello riconosciuto per un’alimentazione sana ed equa da portare avanti fino al 2050. Questo rapporto evidenzia come la transizione mondiale verso un modello alimentare più sostenibile potrebbe portare a una riduzione del 15% delle emissioni di gas serra. La dieta raccomanda un incremento nel consumo di frutta, verdura e legumi, e una contestuale diminuzione degli allevamenti di bestiame. Il programma non impone l’esclusione totale di carne o latticini, ma suggerisce porzioni molto limitate: ad esempio, non più di due porzioni di carne rossa a settimana, o l’equivalente di 5,1 – 10,2 chilogrammi all’anno, un livello ben inferiore al consumo attuale in molti Paesi dell’Unione europea. Secondo il comitato scientifico, sostenere le alternative alla carne è fondamentale per raggiungere gli obiettivi climatici e di salute pubblica.
Perché c’è chi dice no al meat sounding?
Nonostante tutto ciò, oltre 500 parlamentari europei hanno votato a favore. Dietro questa scelta, secondo i più critici, ci sarebbero le lobby per la carne. Eppure, le motivazioni sono state spiegate da associazioni di settore quali Farm Europe ed Eat Europe le quali hanno accolto con favore il “passo avanti compiuto per rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera agroalimentare e per difendere la trasparenza e la tutela dei consumatori”.
Secondo Farm Europe e Eat Europe “le parole contano! Un’etichettatura chiara e onesta non è semplicemente una questione di marketing: è una questione di salute pubblica, fiducia dei consumatori e concorrenza leale. Inoltre, la relazione fornisce una risposta alla stragrande maggioranza dei consumatori che chiede di conoscere il Paese specifico, o addirittura la regione, di origine del loro alimento, inteso come luogo di produzione – e aggiungono -. Accogliamo inoltre con favore l’approvazione dell’emendamento volto a promuovere e valorizzare i prodotti agricoli europei, dando priorità ai prodotti alimentari e agricoli originari dell’Unione, in particolare ai prodotti locali e stagionali, negli appalti pubblici”.
I governi francese, tedesco e italiano sono tra i maggiori sostenitori di questo divieto. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il cui partito è un membro chiave del Ppe, ha di recente sostenuto che “una salsiccia è una salsiccia. La salsiccia non è vegana“.
Sulla carne coltivata “abbiamo votato in Italia la legge, siamo la prima nazione al mondo che non vieta la ricerca ma applica il principio di precauzione, vietando una commercializzazione e produzione di qualcosa di cui sappiamo ancora molto poco”, dichiarava negli scorsi mesi il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida.
“Un passo avanti importante per rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera alimentare per il quale ringraziamo tutti gli europarlamentari che hanno sostenuto le proposte che abbiamo avanzato assieme alle altre organizzazioni agricole di Francia, Spagna e Portogallo, a partire dalla relatrice Celine Imart”, ha invece sottolineato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini.