Asse Roma-Berlino sulle auto green: la lettera congiunta sfida Bruxelles

L’industria automobilistica europea contribuisce a oltre il 7% del Prodotto interno lordo dell'Unione e impiega circa 13 milioni di persone
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Il ministro per le imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso
Il ministro per le imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso (Ipa/Fotogramma)

Torna l’asse Roma-Berlino e uno scopo comune: chiedere alla Commissione europea una revisione della rotta sulla regolamentazione delle emissioni delle auto. L’Italia e la Germania, due pilastri industriali del settore automobilistico europeo, hanno unito gli sforzi in una lettera congiunta inviata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), guidato da Adolfo Urso, e dal Ministero dell’Economia tedesco (Bmwk), rappresentato dalla ministra Katherina Reiche.

L’iniziativa, frutto di un intenso confronto bilaterale iniziato a giugno e culminato nella definizione di una posizione comune in vista del dialogo strategico europeo sull’auto, punta a una “nuova fase per l’industria italiana ed europea”. Scopriamo quale.

La svolta tecnologica richiesta: carburanti e neutralità

Il documento congiunto sostiene una visione condivisa per il futuro del comparto. L’obiettivo principale è superare quelle che il ministro italiano ha definito le “gabbie ideologiche del Green Deal” proponendo una transizione ecologica che sia concretamente sostenibile anche dal punto di vista sociale ed economico.

Nello specifico, Roma e Berlino chiedono a Bruxelles di non limitare il futuro dell’auto ai soli veicoli a batteria elettrica, ma di riconoscere e consentire l’immatricolazione, oltre il 2035, dei veicoli alimentati da “carburanti rinnovabili”. Ciò significherebbe dare una nuova vita al motore endotermico.

La strategia si basa sulla valorizzazione di due tecnologie complementari: i carburanti sintetici (e-fuels), di cui la Germania è un leader, e i biocarburanti, in cui l’Italia eccelle. Mentre i biocarburanti sono prodotti da residui vegetali e materie prime di scarto, gli e-fuels sono creati combinando idrogeno (derivato dalla scissione dell’acqua) con anidride carbonica catturata dall’atmosfera. La Commissione ha già espresso un parere positivo sui carburanti sintetici, e ci si aspetta faccia lo stesso per i biocarburanti.

Inoltre, la richiesta si estende al riconoscimento di tutti i veicoli a basse e zero emissioni non elettrici, inclusi ibridi plug-in, veicoli elettrici ad autonomia estesa e modelli a celle a combustibile. L’appello includerebbe anche la necessità di riconoscere la riduzione delle emissioni lungo l’intera catena del valore e la richiesta di una più rapida diffusione delle stazioni di ricarica e rifornimento di idrogeno, abbassando al contempo gli oneri normativi sull’industria.

I rischi del settore e le motivazioni del rallentamento

La spinta a rivedere le norme deriva dalla crescente preoccupazione per i rischi economici legati al pacchetto “Fit for 55”, il cui obiettivo è ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 e avviare l’Ue sulla strada della neutralità climatica entro il 2050.

I produttori italiani, in particolare, sono stati tra i primi in Europa a percepire una seria minaccia nelle misure radicali di Bruxelles, temendo di non riuscire a riorganizzarsi in tempi così stretti, data la loro rilevanza nella produzione di motori e componenti. Il quadro normativo così stringente è percepito come un fattore che danneggia l’industria europea e ne favorisce la concorrenza cinese. La Cina è infatti pioniera nel campo della mobilità elettrica.

L’industria automobilistica europea, che contribuisce a oltre il 7% del Prodotto interno lordo dell’Unione e impiega circa 13 milioni di persone, è considerata il più grande settore di ricerca e sviluppo dell’Ue e il secondo produttore mondiale di veicoli dopo la Cina. Una transizione troppo monolitica, specialmente di fronte alla concorrenza globale e alle tensioni geopolitiche – come quelle causate dai dazi statunitensi -, è visto come un rischio eccessivo. Per mantenere la competitività, i marchi europei devono necessariamente distinguersi dai rivali asiatici, e la diversificazione tecnologica offerta dagli e-fuels e dai biocarburanti è ritenuta la chiave per farlo.

“Ancora una volta – ha dichiarato il ministro italiano Urso in una nota -, il dibattito europeo si è finalmente aperto grazie alla determinazione del governo italiano, che ha riportato al centro dell’agenda le esigenze concrete della nostra industria. Ora è il momento delle decisioni: mentre Bruxelles discute, la concorrenza globale corre. Non possiamo permetterci di restare fermi. L’Europa deve agire, e deve farlo subito”.

I benefici per cittadini e competitività

Il mandato per l’eliminazione dei motori a combustione interna entro il 2035 è una componente centrale del pacchetto Fit for 55, la cui ambizione è ridurre le emissioni nette di nuove auto e furgoni a benzina, diesel, metano e Gpl a partire dal prossimo decennio.

I vantaggi sono molteplici. Le automobili e i furgoni sono responsabili di circa il 15-19% delle emissioni totali di Co2 nell’Ue. L’accelerazione verso veicoli a emissioni zero è motivata dai benefici attesi per i cittadini, inclusa una minore quantità di inquinamento, un miglioramento della qualità dell’aria e della salute pubblica.

Dal punto di vista economico, i sostenitori della transizione green evidenziano che la regolamentazione stimola una maggiore innovazione nelle tecnologie a emissioni zero, rafforzando la leadership tecnologica e la competitività dell’Ue nel lungo periodo, oltre a creare posti di lavoro nello sviluppo di tali tecnologie. Inoltre, l’aumento della produzione di veicoli elettrici porterebbe a modelli più accessibili e a una riduzione della spesa energetica per i consumatori, con un risparmio stimato nelle importazioni di diesel e benzina. I dati recenti forniti dalla Commissione europea mostrano che gli standard di emissione più severi adottati dal 2020 hanno già portato a una diminuzione del 27% nelle emissioni medie di Co2 per le nuove auto tra il 2019 e il 2022, grazie all’incremento dei veicoli a emissioni zero.

La frattura politica in Germania

L’invio della lettera congiunta ha provocato una forte spaccatura all’interno del Gabinetto tedesco. La partecipazione della ministra dell’Economia Katherina Reiche, che fa parte del blocco conservatore di centro-destra del cancelliere Friedrich Merz, ha colto di sorpresa i Socialdemocratici (Spd), partner di coalizione.

La polemica dell’Spd è dovuta al fatto che la politica in materia di emissioni automobilistiche ricade tradizionalmente sotto la supervisione del Ministero dell’Ambiente, controllato proprio dai Socialdemocratici. Sebastian Roloff, membro Spd del Bundestag, ha dichiarato di non essere stato informato preventivamente sulla missiva e ha chiesto il coordinamento delle politiche industriali e climatiche a livello federale, sottolineando che la lettera non può riflettere la posizione di tutto il Governo.

In contrasto con la posizione di Urso e Reiche, il ministro dell’Ambiente tedesco Carsten Schneider (Spd) ha ribadito, in un’intervista al settimanale tedesco Die Zeit, il suo supporto agli obiettivi del 2035. Schneider ha sostenuto che la debole crescita economica della Germania, compreso il settore automobilistico, non è attribuibile a un eccesso di protezione climatica, ma che la mobilità elettrica rappresenta il futuro e che l’industria necessita di un quadro legale che garantisca stabilità e sicurezza nella pianificazione.

“Small Affordable Car”

L’Unione europea, intanto, sta puntando con decisione sulla strategia denominata “Small Affordable Car”, cioè la produzione di auto piccole, compatte e soprattutto economiche. L’idea è quella di rendere la transizione ecologica accessibile a tutti, si parla di veicoli elettrici dal prezzo contenuto, tra i 15.000 e i 20.000 euro, pensati per la città e per gli spostamenti quotidiani. Alcuni produttori europei si stanno già muovendo: Renault, Stellantis e altri stanno progettando modelli compatti ed elettrici che potrebbero arrivare sul mercato entro il 2026.