Gli Stati Uniti remano contro, l’Unione europea traccheggia, la Cina ne approfitta. È il quadro dipinto dalla Climate Week che si è svolta questa settimana nell’ambito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dalla quale l’ambiente non esce benissimo.
Ha fatto il giro del mondo, com’era ovvio, il discorso di Donald Trump all’Unga, nel quale il presidente degli Stati Uniti ha sferrato colpi a destra e manca, arrivando a sostenere che il “carbone sia bello e pulito”.
L’Unione europea, dal canto suo, ha fatto una magra figura, presentandosi all’appuntamento con l’Onu con solo una Dichiarazione di intenti invece che con il necessario accordo sui nuovi Ndc (Contributi determinati a livello nazionale, ovvero i nuovi piani di emissione che vanno presentati ogni 5 anni in base agli Accordi di Parigi).
Nel vuoto lasciato dagli Usa, che inseguono il fossile, e dall’Ue, che con le sue divisioni sta disperdendo il capitale dato dal suo ruolo di leadership in campo ambientale, si sta inserendo ben volentieri, e rapidamente, la Cina, che ha per la prima volta assunto un impegno di abbassare le proprie emissioni.
Non con un obiettivo ambizioso – un -10% -, ma un segnale molto importante: sia perché il Dragone è il principale inquinatore mondiale, sia perché rivela l’intenzione di porsi come leader globale (anche) in questo campo. E dunque, Trump che si sfila e l’Europa che non si mette d’accordo – in preda a un ritorno di marea sulle politiche green -, sono un favore e un’agevolazione all’azione di Pechino. Ma, sul palcoscenico internazionale, se qualcuno conquista potere qualcun altro lo perde. E questo qualcuno è soprattutto l’Unione europea.
Trump: “Il carbone è bello e pulito”
Nel suo aggressivo discorso all’Onu Trump ha definito il cambiamento climatico una “bufala” e “la più grande truffa mai perpetrata al mondo“, mentre la comunità scientifica è di fatto unanime nell’attribuire i cambiamenti del clima all’uso dei combustibili fossili da parte dell’uomo. Il presidente Usa ha poi sostenuto che le energie rinnovabili siano uno “scherzo” e che le turbine eoliche siano “patetiche e pessime”, avvisando che l’Europa sta andando in malora per colpa delle politiche green (e di quelle migratorie). Il tycoon ha anche inanellato una serie di falsità rispetto ad esempio l’uso dell’eolico da parte di Regno Unito e Cina. Per dirne una, ha asserito che il gigante asiatico abbia “pochissimi parchi eolici” e che non usi in casa moltissime tecnologie green che invece esporta. Ma non è così: Pechino ha installato enormi quantità di energia eolica nell’ultimo decennio e, secondo dati BloombergNEF, ha più di tre volte la capacità degli Stati Uniti in questo settore, oltre ad essere il leader mondiale nell’installazione di energia pulita.
Il problema è che le falsità e le inesattezze snocciolate da Trump per quasi un’ora fanno presa sui cittadini e orientano le politiche Usa, e di conseguenza definiscono il destino e il successo delle politiche ambientali a livello globale.
Di fatto Trump, che deve anche alle lobby degli idrocarburi la propria rielezione, oltre a far uscire gli Usa dagli Accordi di Parigi sta smantellando le politiche verdi portate avanti dal suo predecessore Joe Biden e sta colpendo le agenzie che operano nel campo. Non solo, ma sta spingendo tutto il Mondo ad abbandonare la lotta al cambiamento climatico, scoraggiando ovunque gli investimenti verdi. Ad esempio, negoziando accordi commerciali con la previsione per la controparte di acquistare combustibili fossili statunitensi o di allentare le norme sulla deforestazione (ogni riferimento all’Unione europea non è casuale).
In sostanza, secondo il Foreign Policy starebbe iniziando una “guerra fredda ecologica” all’interno della quale Trump sta costituendo un asse degli idrocarburi con la Russia e i Paesi del Golfo. E l’Unione europea su che fronte si colloca?
L’Ue troppo divisa perde potere
L’Unione europea si è costruita negli ultimi anni un ruolo di leadership in cambio ambientale, ma, come anticipato, mercoledì si è presentata all’Onu non con in mano un nuovo piano con gli obiettivi di riduzione delle emissioni (Ndc) come avrebbe dovuto fare, bensì con una semplice Dichiarazione di intenti, approvata praticamente all’ultimo per non andare completamente a mani vuote. Si tratta di un documento poco ambizioso – con una forchetta tra il 66,3% e il 72,5% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2035, insufficiente rispetto agli obiettivi di Parigi – , e soprattutto non vincolante: una promessa, che rimanda le vere decisioni a livello di governi e teoricamente a prima della conferenza sul clima Cop 30 di novembre.
Perché si è arrivati a questo? Per le divisioni tra i governi, che hanno opinioni diverse sui più svariati dossier e che stanno paralizzando, di fatto indebolendo, tutta l’Unione, in un momento di cui da più parti, Mario Draghi in testa, si sottolinea quanto invece sia necessaria e indispensabile l’unità. Per un motivo molto semplice: nessuno Stato da solo può pensare non tanto di tenere testa o competere, ma nemmeno di resistere, a caterpillar di grandi dimensioni come la Cina e gli Usa.
Eppure, preda dei sovranismi in crescita, l’Unione non riesce a fare quadrato. E nel caso specifico non sta riempiendo il vuoto lasciato dagli Usa nella lotta al cambiamento climatico, anzi perde terreno. Il che vuol dire perdere potere e influenza a livello globale e assistere impotenti all’iniziativa cinese.
Proprio quella che l’Ue, e d’altro canto anche gli Usa, che però con Trump seguono strategie non lineari, vorrebbero arginare. Ma è impossibile competere, a nessun livello e in nessun ambito, senza coesione. Un’altra conseguenza da tenere in conto è che, se si perde leadership da una parte, la si perde a 360 gradi.
“L’Ue è e rimarrà un leader globale in materia di clima“, ha affermato tuttavia il ministro danese per il clima, Lars Aagaard, difendendo la Dichiarazione di Intenti, spinta dal suo Paese proprio per portare almeno qualcosa all’Onu. Per Aagaard, i partner internazionali dell’Europa hanno capito che “stiamo vivendo un momento difficile. Voglio dire, c’è una guerra nel nostro continente”.
Ma l’Ue ora viene vista in Cina come una media potenza, e anche i Paesi del Sud globale iniziano a guardare a Pechino come a una guida.
La Cina riempie il vuoto
In tutto questo, la Cina vince. “I leader e i dirigenti cinesi avranno trovato sconcertanti le osservazioni di Trump sull’energia verde. Possono ben sperare che gli Stati Uniti continuino su questa strada. Significa solo un concorrente in meno per loro“, ha detto Li Shuo, direttore del China Climate Hub presso l’Asia Society Policy Institute, citato da Politico.
Mercoledì scorso, in videocollegamento, il presidente Xi Jinping si è impegnato a ridurre i livelli delle emissioni di gas serra del proprio Paese fino al 10% entro il 2035. “Questi obiettivi rappresentano il massimo impegno della Cina in base ai requisiti dell’Accordo di Parigi”, ha affermato Xi, sottolineando allo stesso tempo che il loro raggiungimento “richiede sia un impegno scrupoloso da parte della Cina stessa, sia un contesto internazionale aperto e favorevole”. Un riferimento agli Usa e un messaggio all’Ue, che potrebbe trovare un terreno comune col Dragone proprio in campo ambientale. “L’energia pulita è la tendenza del nostro tempo. Mentre alcuni Paesi si stanno comportando in modo contrario, la comunità internazionale dovrebbe rimanere concentrata sulla giusta direzione”, ha chiarito ancora.
Gli impegni dichiarati da Xi, che includono anche piani per incrementare le vendite di veicoli elettrici e potenziare l’energia eolica e solare, sono comunque deludenti (Biden e l’Ue l’anno scorso avevano premuto per il 30%) e poco chiari sulla strada futura. Inoltre Pechino deve ancora presentare il suo Ndc. Ma l’Ue, senza in mano nulla più di una promessa a prendere un impegno, non è in posizione di poter commentare le decisioni di Pechino.
E anche se la Cina prende un impegno da molti considerato deludente, a questo punto è almeno un impegno. Il Paese è diventato una potenza manifatturiera di tecnologie pulite e ha incrementato gli investimenti verdi all’estero, contribuendo a ridurre i costi di queste tecnologie: di fatto ha tutte le carte in regola per assumere la leadership della lotta al cambiamento climatico.
Con queste premesse, tra un mese e mezzo partirà la Cop 30 in Brasile. Un monito viene dal presidente Luiz Inácio Lula da Silva – Lula -, che all’Onu ha detto: “(Le azioni della Casa Bianca, ndr) aumentano la nostra responsabilità – Sudafrica, India, Brasile, Unione Europea, Cina – per impedire a questa forza gravitazionale negazionista di andare oltre la perdita che è già troppo grande a causa del ritiro degli Stati Uniti (dagli Accordi di Parigi, ndr)”.