Quale valore hanno le elezioni europee? Quale peso ha il Parlamento europeo che sarà eletto? Qual è la strada per ottenere più Europa? E a quali condizioni? Risponde a queste domande Enzo Moavero Milanesi, intervistato per il podcast Eurofocus di Adnkronos. Professore al College of Europe e alla Luiss, è stato Ministro degli Esteri con il governo Conte I e Ministro degli Affari Europei con i governi Monti e Letta.
Partiamo da una premessa necessaria. Perché è importante andare a votare e cosa si vota?
I rappresentanti che eleggeremo saranno soprattutto chiamati a discutere e approvare, quali co-decisori, misure legislative UE, vincolanti, che regolano svariati settori della sfera economica e sociale. Sono atti essenziali per ognuno di noi e con un carattere fortemente tecnico, sovente specialistico. In un simile contesto, il tema della preparazione e della competenza dei candidati diventa centrale.
Sarebbe stato importante riempire le liste di persone competenti. Questo è il senso di quello che dice.
L’attenzione sul punto è scarsa e non viene ben spiegato il vero lavoro dei parlamentari UE. È significativo che il dibattito politico e mediatico che ci coinvolge tenda a seguire il consueto copione politico di una competizione fra partiti rivali che, con i loro programmi, mirano a vincere e governare. Ma, in realtà, la maggioranza che scaturirà dalle elezioni europee non sarà chiamata a esprimere il ‘governo’ dell’Unione Europea che rimane prevalentemente nelle mani dei governi degli Stati membri, attraverso le istituzioni UE in cui sono protagonisti (Consiglio europeo, con i leader e Consiglio, con i ministri) e dove prendono all’unanimità le delibere più sensibili e rilevanti.
Il rischio è quello di fare un sondaggio a fini interni sulla forza dei singoli partiti. Un po’ è colpa anche nostra, di noi giornalisti per come raccontiamo le elezioni europee. Spesso poi si finisce per fare i calcoli su chi vince e chi perde in base a equilibri che hanno poco a che fare con la composizione del Parlamento europeo.
È uno dei rischi: si riduce una tornata elettorale di dimensione continentale a una verifica degli equilibri politici esistenti, per giunta, all’interno di ciascuno Stato. Così si trascura che la funzione più concreta del Parlamento europeo è di essere, insieme al Consiglio, il legislatore dell’Unione. Andrebbe anche considerato che la sua maggioranza non è affatto stabile e non di rado, assume geometrie variabili a seconda dei singoli provvedimenti e delle preferenze di stampo nazionale. Dunque, potrebbe valere la pena di mettere il nostro voto di giugno in libera uscita dai partiti e scegliere fra i candidati chi ha davvero la capacità di affrontare i contenuti.
Chiunque guardi l’Europa come un valore aggiunto rispetto a quello che è la nostra vita chiede più Europa. Draghi l’ha detto chiaramente: siamo in una fase in cui o troviamo il modo per cedere più sovranità oppure l’Europa non riesce a fare quello che dovrebbe. Come è possibile avere più Europa e a quali condizioni?
L’architettura istituzionale e operativa dell’Unione è invecchiata ed è complicata. Per riformarla non bastano i soliti piccoli passi o il cacciavite, secondo le metafore d’uso. Ci vuole il coraggio di affrontare a viso aperto la questione di fondo, sempre rinviata: quale assetto Costituzionale – con la ‘C’ maiuscola – vogliamo per l’Europa? Bisogna optare per formule collaudate nella storia e avere come meta efficienza e comprensibilità. Lo schema confederale lascia agli Stati e ai rispettivi governi un peso preponderante e porta a condividere solo alcune funzioni di rilievo. Lo schema federale richiede un’evoluzione netta, modello Stati Uniti d’America o Germania, una condivisione ampia e istituzioni compartecipate forti.
E se dovesse indicare qual è la strada migliore, quale indicherebbe?
Il percorso da sempre sulla linea dell’orizzonte europeo è senza dubbio il percorso federale. Ben chiaro a De Gasperi, Adenauer e Schuman, è stato però mantenuto – mi si perdoni l’espressione – in una prospettiva quasi ‘messianica’. Se si vuole davvero una federazione europea è arrivato il momento di declinarla al presente e di mettersi al lavoro.
Difesa comune e politica estera potrebbero essere i primi terreni su cui seguire questo approccio?
Potrebbero, ma va tenuto presente che proprio le politiche estera e di difesa sono fra le aree meno europeizzate: decidono tutto i governi nazionali ed è minima l’incidenza di Parlamento europeo, Commissione e perfino Corte di giustizia. Invece, le materie economico-sociali sono già molto europeizzate, tra l’altro con il Parlamento europeo spesso co-legislatore. È meglio, quindi, innestare su quest’ultime un complessivo salto di qualità istituzionale. Del resto, il fatto stesso che, psicologicamente, oggi vediamo le politiche estera e di difesa come priorità, dimostra quanto sia urgente tale salto: perché proprio in queste due politiche l’Europa è di frequente inerte: vittima di veti, unanimità e divergenze fra gli Stati. (Di Fabio Insenga)